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Mangiare in bivacco: le scatolette di tonno.

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Finiscono nello zaino quando si va per bivacchi, soprattutto in quelli alpinistici, così essenziali e spartani, con gli spazi ridotti all'osso e in più senz'acqua e senza fuoco: nove posti letto e un tavolino nel volume di un furgoncino. E' qui che "lo scatolato" vince a mani basse. 
scatolette e bivacco alpinistico
Qualche cappero e un po' di cipolla migliorano la resa molto più della differenza
di prezzo. A sinistra vediamo il bivacco "Mario Rigatti" nel Latemar, che è un per-
fetto esempio di bivacco alpinistico "tipo Apollonio" e habitat ideale per le scato-
lette e le barrette.
E se tutte le scatole sembrano uguali, i prezzi possono essere diversi.
● Tonno Coop (10 Euro al chilo): è della specie Thunnus Albacares pescato negli oceani Pacifico, Indiano e Atlantico e inscatolato a Trapani. Ingredienti dichiarati: olio di oliva e sale. Peso sgocciolato 156 grammi (0,01 Euro al grammo).
● Tonno Consorcio (30 Euro al chilo): è della specie Thunnus Albacares ma non dice dove è stato pescato, nè dove è stato inscatolato. Ingredienti dichiarati: olio di oliva e sale. Peso sgocciolato 132 grammi (0,03 Euro al grammo).

Il vecchio Rifugio Genova (Schlüterhütte) nelle Odle

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E' lì dal lontano 4 agosto 1898 e da quel tempo antico ha conservato sostanzialmente integro il suo aspetto. Speriamo che non cambi.
Schlüterhütte Rifugio Genova
Franz Schlüter, il ricco commerciante germanico che finanziò la costruzione. In bas-
so a sinistra il rifugio come appariva nel 1907, poco prima dell'ampliamento.
Ha subito un unico ingrandimento quando era ancora molto "giovane", nel 1908, e da allora è dotato an- che di acqua corrente ed elettricità.
Si trova sui prati alti del Kreuzko-feljoch/Passo di Poma, dove Val di Funes e Val Badia si toccano.
Schlüterhütte Rifugio Genova
Le sistemazioni interne mantengono l'elegante atmosfera delle origini e il locale
invernale è perfino dotato di lampadine: assieme all'acqua corrente l'elettricità era
arrivata fin quassù già nel lontano 1908. In basso gli Schmarren egli Spiegeleier,
due bei piatti della tradizione, sui tavoli del rifugio.
L'idea era venuta all'alpinista austroungarico Jochann Santner (che aveva legato il suo nome alla Punta Santner dello Sciliar) ma la sua realizzazione è dovuta al ricco commerciante di Dresda Franz Schlüter che rimase affascinato dalla bellezza del gruppo delle
Odle.
I lavori furono affidati a tale Richard Neisse; inaugurato il 4 agosto 1898 il rifugio fu subito donato dallo Schlüter alla sezione dell'Alpenverein di Dresda, la città tedesca sul fiume Elba.
Schlüterhütte Rifugio Genova
Gli arredi, seppur rinnovati, mantengono il loro aspetto e reggono il confronto con
quelli (da vedere!) dell'ormai ex-rifugio "Ettore Castiglioni alla Marmolada" (che è
stato purtroppo trasformato in albergo raggiungibile in auto.
Dopo la prima guerra mondiale il rifugio passò nelle mani del Demanio Militare italiano, che lo passò a sua volta al CAI della sezione di Genova. Finita anche la seconda guerra mondiale il rifugio passò alla sezione CAI di Bressanone, che ha provveduto negli anni a migliorarne la struttura ed efficienza.

Cenni storici
Il Commerciante Franz Schlüter
Schlüterhütte Rifugio Genova
Di solitoci si arriva dalla Val di Funes dopo aver lasciato l'auto ai parcheggi di Malga Zannes. Però ci si può arrivare anche salendo dal Passo delle Erbe fino alla Peitlerscharte/Forcella de Putia, che si trova praticamente sotto il cupolone sommitale del Sass da Putia e a breve distanza dal rifugio (ed è un'alternativa un po' più "montagnina".
Nell’anno 1896 il ricco commerciante di Dresda acquistò da un agricoltore di S. Maddalena un appezzamento di terreno sull’Alpe di Caseril, a quota 2301 e diede inizio alla realizzazione della struttura. La posizione era stata ponderata e prescelta su parere di alcuni alpinisti, in particolare del grande alpinista di Bolzano, Johann Santner, profondo conoscitore della zona, che naturalmente aveva valutato anche gli aspetti della sicurezza e delle comunicazioni con le valli limitrofe. Il 4 agosto 1898 il rifugio, denominato Schlüterhütte, fu inaugurato alla presenza di numerosi ospiti e valligiani e del Parroco di Funes. lI 6 agosto ebbe luogo l’inaugurazione ufficiale alla presenza delle Autorità e invitati, nel corso della quale, l’edificio fu donato alla sezione di Dresda del Deutscher und Österreichischer Alpenverein, rappresentata dal presidente e fondatore, il Giudice Adolf Munkel.

La nuova struttura ricettiva attirò molti appassionati della montagna, anche perché nel frattempo erano sorti altri rifugi in zone circonvicine, quali il Plose, il Firenze, il Puez. Nel 1907 fu deciso un notevole ampliamento su progetto dell’architetto Reuter il cui disegno è ancora oggi conservato nell’Ufficio Catasto di Chiusa. Il progetto rispecchia l’ambizione e le disponibilità finanziarie della sezione: tre piani fuori terra, 62 posti letto, numerosi in camere singole e matrimoniali, illuminazione a gas dei locali comuni, e acqua potabile in cucina e nei bagni; il tutto in quasi quattro mila metri cubi di costruzione che ha la conformazione di un albergo. I lavori iniziarono nel 1907 e furono ultimati già nell’anno successivo. La struttura rispondeva a tutte le esigenze degli alpinisti: base per le ascensioni, meta delle gite giornaliere, tappa dei percorsi escursionistici e sci-alpinistici a lungo raggio, soggiorno in alta quota e, inizialmente, anche centro per lo sci da discesa. Vennero anche costruiti i sentieri di collegamento. In particolare fu realizzato un percorso panoramico e suggestivo (il sentiero Adolf Munkel) che inizia dal rifugio e attraversa tutta la base delle Odle fino al rifugio Brogles. Oggi al rifugio si incrociano le alte vie numero due e numero otto delle Dolomiti.

Le guerre
La guerra 1914-18 congelò l’attività degli alpinisti e del rifugio che subì abbandono, saccheggi e vandalismi. Al termine della prima guerra mondiale, anche se il trattato di St. Germain non prevedeva nulla in proposito, i rifugi alpini di proprietà delle sezioni alpinistiche austriache e tedesche furono confiscati dallo Stato italiano e destinati alla difesa dei confini. La sezione dell’Alpenverein di Dresda perse oltre al Genova anche il Pradidali, il Treviso e il rifugio Corsi in VaI Martello.
lì Club Alpino Italiano, dopo insistente richiesta e ferma restando la destinazione, ne ottenne in concessione un gran numero e, tramite un’apposita commissione, prowide alle necessarie ingenti riparazioni, acquisto di mobili, arredi e suppellettili. Per questa costosa operazione fu aperta con successo una sottoscrizione per la sistemazione e l’esercizio dei rifugi nelle Terre Redente. In seguito e con gradualità gli stessi furono affidati alle sezioni del sodalizio anche molto distanti dalla provincia quali Roma, Milano, Firenze, Verona, Bergamo... La Schlüterhütte fu affidata nel 1925 alla sezione Ligure che la ribattezzò rifugio Genova al Passo Poma, per distinguerlo dal Genova al Lago Brocan (ora Bartolomeo Figari).
Con rilevante sforzo finanziario ed organizzativo, la sezione neoaffidataria provvide a completare la dotazione dell’esercizio, con attrezzatura di ogni tipo: materassi, coperte, biancheria e mobili. Per il trasporto chiese ed ottenne l’intervento di mezzi dell’Esercito che concesse l’uso di autocarri e quadrupedi da soma. Da notare che alcuni mobili provenivano da una nave da crociera in disarmo. Anche in questo senso si era realizzato un collegamento mare-montagna. Né poteva mancare una gigantografia del porto che ancora fa bella mostra di sé nell’atrio.
La gestione fu affidata a Serafin Santer (da non confondere con il Santner), già gestore alla riapertura del rifugio nel 1923 e che era stato collaboratore della sezione di Dresda fin dagli inizi del secolo.
Dal 1935 al 1939 gli subentrò Josef Malojer che fu altrettanto attivo e generoso nella conduzione e nel mantenimento della struttura. Il 22 agosto 1938 un avvenimento straordinario accadde nel rifugio: la signora Hilde Malojer partorì il primo figlio.
Ma i venti di guerra spazzavano i monti al di qua e di là del confine. E non solo, la propaganda nazista e gli accordi tra l’Italia e la Germania fàvorirono il perpetrarsi di un evento infausto di proporzioni bibliche che colpì la popolazione di lingua tedesca della provincia di Bolzano: le opzioni. Oltre l’ottanta per cento degli aventi diritto optò forzosamente per la Germania (circa 200.000 persone) e 75.000 emigrarono effettivamente incontro a un destino condizionato negativamente dalla guerra e non solo. Tra questi il Malojer che il sei dicembre 1939, unitamente alla famiglia, lasciò il Genova e l’Italia e ottenne la cittadinanza germanica. È da ricordare che durante la gestione Malojer furono organizzati numerosi corsi sci per allievi provenienti per lo più dalla Liguria e dalla Germania. Nel gennaio 1937, ad esempio, vi parteciparono, tra gli altri, ben 75 sciatori di Bochum (Renania-Wesftalia).
Dalla Ligure al CAI BressanoneDopo la seconda guerra mondiale il nostro bel complesso, che aveva subito minori vandalismi anche per l’assidua opera di controllo di Serafin Santer, fu affidato alla sezione di Bressanone, rinata il 26 giugno 1945. Il presidente Ludovico Cappelletti chiese l’affidamento gratuito della struttura anche in considerazione che nel 1942 il CAI aveva ordinato alla Ligure di consegnarla alla sezione di Bolzano! Dopo una breve trattativa si arrivò ad una convenzione, il cui originale, datato 27 maggio 1946, è conservato agli atti del CAI Bressanone, e prevede il parziale rimborso delle spese sostenute per le riparazioni e l’arredamento della struttura. La somma pattuita ammontava a 130.000 lire da corrispondere in cinque rate.

La sezione di Bressanone
La sezione di Bressanone, sempre molto legata al Genova, ha curato con particolare attenzione il rifugio stesso, sia con opere e fornitura di materiale che frequentando e promuovendone con successo la conoscenza e la frequenza.
Nel 1986 la costruzione è stata oggetto di un intervento fatto personalmente da un gruppo di Soci che ha lavorato gratuitamente per 15 giorni e ha effettuato l’intonacatura e la tinteggiatura esterne dell’intera costruzione.
Negli ultimi anni del secolo scorso sono entrate in vigore nuove e importanti norme sull’igiene e sicurezza delle strutture ricettive. Anche nel Genova furono eseguiti lavori di ammodernamento e abbellimento. In particolare fu curata la cucina con l’installazione di attrezzature di acciaio inossidabile.
Si è poi provveduto all’installazione di impianti antincendio e all’apertura delle uscite di sicurezza che hanno comportato anche rilevanti lavori strutturali. È stato quindi realizzato l’impianto di depurazione delle acque reflue. Contemporaneamente fu rifatto l’acquedotto comprese le opere di captazione e potenziatì e ammodernati i servizi igienici. Inoltre sono stati risanati in maniera ottimale gli scantinati, dove è stato anche ampliato il locale invernale.
Nel 1995 il CNR ha donato al rifugio un impianto fotovoltaico completo di batterie e di convertitore che produce quattro Kw/h.
Numerose sono state le manifestazioni, corsi e gite organizzate al rifugio per propri Soci e, in misura minore per quelli di tutto il CAI Alto Adige. In occasione dei festeggiamenti per il 70° compleanno della sezione, nel 1994, vi è stato organizzato un riuscitissimo raduno dei soci che hanno effettuato un’ascensione di massa al Sasso di Putia (q.2875), mentre un gruppo di tre cordate ne scalava la parete nord. Nel corso dei decenni di attività, il rifugio è stato meta di numerose personalità politiche, militari, religiose e grandi alpinisti. Merita particolare menzione il presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini che ha pranzato con soddisfazione nella sala da pranzo e ha annotato e firmato il registro degli ospiti: “abbiamo mangiato e siamo stati sereni in questo accogliente rifugio. Fervidi auguri”. Sandro Pertini 31 VIII 1983.

Il centenario del rifugio
Nell’anno 1998 in occasione del primo centenario dell’opera, la sezione di Bressanone del CAI ha organizzato i festeggiamenti al rifugio con un afflusso di Soci e invitati particolarmente numeroso. Tra le Autorità: il sindaco di Funes Runggatscher, il vicesindaco di Bressanone Dario Stabìum, il presidente della Ligure Lorenzo Bonacini, il vicepresidente della sezione di Dresda Josef Fais e il presidente generale Roberto De Martin. Ha fatto gli onori di casa il presidente Annibale Santini, che ha anche pronunciato il discorso ufficiale. Era presente una rappresentanza della sezione di Dresda, del CAI Alto Adige e di numerose sezioni alpinistiche anche di lingua tedesca. La manifestazione comprendeva: S. Messa, discorsi celebrativi, esibizioni del Coro Plose del CAI Bressanone, diretto dal M.° Ilario Sedrani, della Banda musicale di Funes (M.° Profanter) nonché dimostrazione del soccorso alpino del CAI Bressanone diretta da Paolo Sferco con il recupero con lelicottero di un presunto ferito.
(testo di Vittorio Pacati, della sezione CAI di Bressanone)

Le info pericolose dell'Ente Parco nel Brenta

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Occhio ai trappoloni per turisti fiduciosi!
cartelli pericolosi
L'incredibile cartello appeso in bella mostra sul muro di Malga Tassulla e replicato
a Baita Nana. L'imprudente escursione che, seguendo l'indicazione, s'avvia per la
cresta nord del Brenta confidando di arrivare ai rifugio Pedrotti e Tosa in meno di
due ore rischia di mettersi seriamente nei guai, specie se si tratta di un ignaro e fi-
ducioso e inesperto turista che "si fida". Il trappolone è colorato con i colori clas-
sici della SAT, come purtroppo fanno spesso i numerosi millantatori del cartello
Ve la immaginate una tabella SAT che dal Pian dela Nana riporti per i Rifugi Pedrotti e Tosa solamente "ore 1,50" di cammino, quando invece non basterebbero due intere giornate?
No, eh? E certo che no, la SAT è fatta da gente che va in montagna e quando si occupa di sentieri sa bene quello che fa.
Ma i gestori dell'Ente Parco? Fanno come certi burocrati lontani e comodosi, abbarbicati alla scrivania in qualche lontano ufficio e incapaci perfino di controllare i lavori delle infinite ditte e dittarelle cui appaltano lavori che san solo di prebenda.
E a proposito: quando sarà che enti vari, comuni, gruppi e conventicole, gestori privati e soggetti vari la smetteranno di usare i colori della SAT per la loro cartellonistica sempre alla ricerca di una credibilità che non hanno?

Cima Alta/Palon da Malga Campo (cresta Bondone-Stivo)

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Il Cornetto del Bondone e il Monte Stivo sono collegati da una lunga, aerea e accidentata cresta. Da un lato la Val d'Adige, dall'altro la Valle dei Laghi, più esattamente la Val di Cavedine.
cresta Bondone Stivo
Dalla Cima Alta/Palon verso Nord: proprio al centro c'è il Cornetto del Bondone, da dove inizia la lunga linea di cresta che si spinge fino al Monte Stivo. In questo punto ci troviamo più o meno a metà strada. Anche la vista verso Sud merita: il Pasubio, le Piccole Dolomiti, l'altipiano dei monti Lessini, la catena del Baldo con l'Altissimo di Nago e la piccola protuberanza del Corno della Paura che si affaccia verso Rovereto.
cresta Bondone Stivo
La spianata delle malghe: Malga Campo di Drena (sulla destra) e Malga Campo
di Arco (sulla sinistra). Per chi non vuole camminare troppo forse da qui l'escur-
sione più remunerativa è la salita al Monte Stivo.
Vedi le altre foto in Google Photo.
Ci-sono dei bei saliscendi e farsi tutta la cresta dall'inizio (Cornetto del Bondone) alla fine (Monte Stivo) non è un'impresa da sottovalutare; è vero che non ci sono difficoltà tecniche ma la lunghezza e il dislivello che s'accumula la rendono tosta.
E' un po' troppo per noi, anche perchè bisognerebbe organiz-zarsi con due macchine: una alle Viotte e una a Passo Bordala, che non sono proprio a due passi.
Nota: la vicina anticima sud-orientale si chiama Cima Alta ed è di qualche metro
più alta del Palon. Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
La nostra uscita odierna si limita ad una modesta puntatina: un semplice mordi e fuggi fino alla sua elevazione centrale: la cimetta Palon (che naturalmente non ha niente a che fare col Palon del Bondone) e che in realtà è di 2 o 3 metri più basso della sua modesta anticima affacciata sulla Val d'Adige (mentre il Palon si affaccia sulla Valle dei Laghi). Bazzecole, visto che i due punti trigonometrici distano solo una cinquantina di metri in linea d'aria, ma bazzecole che possono indurre in confusione fra i due "Paloni": quello "vero" del Bondone e questo qui, situato a metà della cresta e
mezzo sconosciuto.

Quote e dislivelli (dati del GPS + carta tecnica provinciale):
Quota di partenza/arrivo: m 1.355 (parcheggio Malga Campo)
Quota massima raggiunta: m 1.847 (Cima Alta, quota CTP)
Dislivello assoluto: m 492
Dislivello cumulativo in salita: m 607
Dislivello cumulativo in discesa: m 611
Lunghezza con altitudini: km 9,75
Tempo totale netto: ore 3:30 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata. 

Come arrivare: si lascia la statale della Valle dei Laghi all'altezza di Dro, da dove si seguono le indicazioni per Drena. Alla località Luch inizia la stradella asfaltata che sale con numerosi tornanti fino al parcheggio di Malga Campo.

L'Ortigara visto dall'osservatorio di Cima Lefre

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Questa vista sul ciglione dell'altopiano di Asiago è stato ripresa nell'ot-tobre 1916 dall'osservatorio militare italiano di Monte Lefre, che da sopra Villa Agnedo teneva d'occhio la valle di notte e giorno.
Monte Ortigara dal Monte Lefre
Le annotazioni a penna riportano: 1. Cima della Caldiera 2. Cima del Campanaro
3. Monte Ortigara 4. Cima Undici 5. Cima Dodici 6. Cima Manderiolo 7. Cima
Vezzena 8. Armentera 9. Civaron 10. Fiume Brenta (Val Sugana). Nel fondovalle
la nuova prima linea separava Strigno (italiana) da Telve (austriaca) ed era atten-
tamente controllata proprio dall'osservatorio di Cima Lefre.
La Strafexepedion austriaca del maggio-giugno s'era ormai esaurita e in Valsugana il nuovo fronte si era assestato lungo la linea del torrente Maso, che scendeva dalla Val Cala-mento per immettersi nel Brenta.
L'immagine è stata ricavata dall'as-semblaggio di tre scatti verticali in bianco e nero (il colore era ancora allo stadio sperimentale).
Questa preziosa immagine è tutt'ora conservata assieme ad altre presso il Museo Centrale del Risorgimento a Roma.
(http://www.14-18.it/album/foto/15357)

Il Sentiero del Tamazol sopra Caldonazzo

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Il Dosso Tamazol passa inosservato a chi guarda dal fondovalle, ma è un bel punto panoramico sulla Valsugana e il lago di Caldonazzo. Raggiungerlo da Caldonazzo con l'inaspettata e ardita ferratina è una bella sorpresa, almeno quanto il panoramico e aereo percorso di ritorno all'auto.
sentiero del tamazol
A volte la montagna minore sa offrire scorci e sensazioni inaspettati,nascosti a due passi da casa. Lo Spiazzo Tamazol, con le sue erbe gialle, si trova sulle pendici del Monte Cimon, dirimpettaio della Vigolana. Più indietro la Marzola e sullo sfondo il Brenta.
sentiero del tamazol
Se la salita si avvale di una ripida ferratina, al ritorno si compie un ampio e sug-
gestivo giro con passaggi, ponticelli e viste aeree sulla Valsugana.
Vedi le altre foto in Google Photo.
Il sentiero del Tamazol ha inizio a quota 565, a un quadrivio di strade forestali ai piedi del Monte Cimon, tra la valletta del torrente Centa e la strada dei Kaiserjaeger, pratica-mente sopra Caldonazzo.
Sale ripido e in parte attrezzato il versante nord del Monte Cimon dell'altipiano di Vezzena, dapprima nel bosco e poi lungo sottili crestine di roccia ben servite da corda metallica. Richiede fermezza di piede e assenza di vertigini.
GPS sentiero del tamazol
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
Il Dosso Tamazol è uno spiazzo erboso a 1.070 metri di quota, aperto con bella vista sulla conca di Levico e Caldonazzo.
Il rientro all'auto segue un percorso ampio, vario, interessante e ricco di scorci panoramici e passaggi affascinanti su ponticelli e stretti sentieri affacciati sul precipizio.
L'ultimo tratto, infine, avviene su forestale che attraversa una faggeta.
L'escursione è nel complesso facile ma va affrontata solo da chi non soffre di vertigini e ha, come si dice, "fermezza di piede". Il tratto
ferrato ha alcuni passaggi delicati, scivolosi ed esposti, meglio portarsi l'imbragatura.

Quote e dislivelli (dati del GPS):
Quota di partenza/arrivo: m 565 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 1.158
Dislivello assoluto: m 593
Dislivello cumulativo in salita: m 868
Dislivello cumulativo in discesa: m 847
Lunghezza con altitudini: km 8,5
Tempo totale netto: ore 2:30 AR
Difficoltà: EE-EEA

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata.

Come arrivare: da Caldonazzo ci si porta in località Pineta puntando alla nuova pizzeria omonima, da dove si prosegue su strada bianca sulla destra, proseguendo ben oltre l'attuale risultanza in Google Maps finchè si arriva ad uno spiazzo-quadrivio forestale (con piccolo spazio-parcheggio).

Una mappa Lidar delle Alpi orientali

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L'ultima mappa vettoriale OpenAndroMaps per OruxMaps è ora "appoggiata" su un profilo dei rilievi alpini fatto con una scansione al laser.
OruxMaps
Dettaglio attorno a Cima Fornace, vicino a Passo Manghen. In grigio il sentiero che
ho mappato in OpenStreetMap qualche mese fa e che è stato automaticamente "ri-
succhiato" nelle mappe OpenAndroMaps (vengono aggiornate ogni due o tre mesi).
Nota: in OSM la quota di Cima Fornace è attualmente segnata una ottantina di me-
tri a Nord-Est della sua reale posizione sul terreno. Andrà corretta...
Il rilievo del terreno effettuato col Lidar (un radar a fascio di luce) è più preciso, le distanze e le curve di livello sono più attendibili.
Delle tante mappe disponibili a noi interessa la "Alps_Ost", che è ag-giornata al 10 dicembre 2016, pesa circa 640 Mb e copre il tratto di arco alpino dal Lago di Costanza alle Alpi Slovene, comprese le prealpi italiane dal bresciano al Carso triestino.
È stato migliorato anche il set di simboli che ora si chiama "Altitude 4" (a noi interessa il sub-set "Hiking", cioè escursionistico).
Anche il set di simboli si può installare sullo smartphone direttamente dal sito OpenAndroMaps.com che fa parte della benemerita galassia OpenStreetMap, che mi meritevole di un sostegno tangibile (donazione di qualche Euro) anche perchè mappa e simboli sono completamente gratuiti.

Mercatini di natale e localini a Bolzano: occhio alle recensioni dei social

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Le recensioni bamba, quelle iperboli in libertà che nascondono realtà mediocri e producono cocenti delusioni, una volta arrivati sul posto...
mercatini bolzano
Indifferenza per i valori del luogo, una bella dose di cattivo gusto, attrazione fatale
per l'estetica del degrado. Un cafonal in versione gentrificata e politicamente cor-
retta, una variante trendy del più aggressivo gustaccio balcanico, tipo Croazia.
Un esempio per tutti: l'antico angolo del pesce nella piazza del mercato medioevale è ormai ridotto a fondale dell'ennesimo baretto inutile e dannosso, con la sua tappezzeria di cartelli, sgabelli e plastiche colorate. Ma nei social si legge:
"Fischbänke di Bolzano: bella la location (due enormi banchi del pesce in marmo bianco adibiti a tavoli), ottime le bruschette, feno-menale il famoso proprietario, il mitico Rino Zullo, più conosciuto come Cobo: ecco 3 motivi per pas-sare dal Fischbänke! Il locale, ormai un cult, esprime appieno il genio creativo di Cobo e le contaminazioni dei paesi in cui ha vissuto: un’esplosione di colori, note e sapori! Ordinate un Hugo, un paio di bruschette e regalatevi una chiacchierata con lui … fidatevi!"

Il Bosco Caproni di Arco

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Questo giro giro a bassa quota nella "busa" di Arco è facile e vario. Nel bosco mediterraneo si incontrano falesie di arrampicata, vecchie cave di pietra, coltivazioni di ulivo, muretti a secco, trincee di guerra...
Bosco Caproni ad Arco
I bassi rilievi ai fianchi della valle sono segnati da una rete di antichi percorsi, vie che risalgano a quando il fondovalle era ancora paludoso e impraticabile. La stradella lastricata seguita al ritorno ha questa proprio questa natura ma l'attrazione del giro odierno sono senz'altro le cave di pietra"oolite", che vennero aperte negli anni della Rivoluzione Industriale e del decollo turistico di Arco. E poi c'è il sentiero che ripercorre la cintura delle trincee di Massone che controllavano Arco (la cui rocca è sulla sinistra della foto).
Cave di Monte Patone ad Arco
Dentro le Cave Basse, scavate nella roccia del dosso di Patone. Nel 1853 fu aperto
un altro fronte estrattivo poco più sopra, le Cave Alte.
Vedi le altre foto in Google Photo.
Si sale alle cave attraverso un roccioso paesaggio agricolo ad olivo, messo a coltura nella seconda metà dell'Ottocento dal proprietario di cave Giovanni Meneguzzi e caratterizzato dai muretti a secco che delimitavano gli appezzamenti e allo stesso tempo "spietravano" il terreno sassoso.
A fine carriera, le cave di pietra del Monte Patone erano usate soprattutto per ricavarne condotte e tubazione idrauliche. L'impiego per farne lavatoi e tubazioni pubbliche ebbe il suo massimo sviluppo nel
GPS Bosco Caproni
A sinistra l'anello delle trincee, a destra l'anello di visita alle cave con ritorno per la
antica stradella fra terrazzi ("fratte") e muretti a secco di stampo mediterraneo.
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
corso dell'Ottocento, poi l'attività entrò in crisi con l'avvento delle tubazioni in metallo.
Oggi i vuoti lasciati dalle cave vengono usate anche dagli arrampicatori che frequentano la sottostante falesia di Policromuro e sono scaglionate in due gruppi ("Basse" e "Alte") lungo la mulattiera di servizio che sale verso il belvedere posto alla sommità del dosso di quota 230, dov'era posta la casetta dei minatori e dove il proprietario costruì anche il suo "buen retiro" una volta cessata l'attività.
Il rientro avviene facendo il giro dell'anello di trincee costruito dagli austriaci in vista della WW1 e poi attraverso la stradella che venne realizzata per evitare le paludi del fondovalle applicando le tecniche apprese dai romani (le cui "centuriazioni" avevano poi anche messo a coltura ampie porzioni nel fondovalle bonificato).

Quote e dislivelli (dati del GPS):
Quota di partenza/arrivo: m 217 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 333
Dislivello assoluto: m 116
Dislivello cumulativo in salita: m 382
Dislivello cumulativo in discesa: m 383
Lunghezza con altitudini: km 4,4
Tempo totale netto: ore 2:00
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata.

Come arrivare: si lascia la statale Trento-Riva del Garda in località Moletta (fra Dro e Arco) e si seguono le indicazioni per Massone e per la Falesia Policromuro, dove si lascia l'auto in un piccolo spiazzo-parcheggio.

Notizie storiche:
L'area denominata “Bosco Caproni” è così chiamata perché un tempo era di proprietà dell'omonima famiglia tra i cui membri il famoso Gianni Caproni, nato nel 1886 proprio a Massone, uno dei “pionieri dell'aria”. Nel 1996 il Comune di Arco ha acquistato l'area dagli eredi di Gianni Caproni, morto nel 1957, e dal 2004 i servizi provinciali hanno messo in sicurezza il percorso storico-naturalistico “Bosco Caproni”. Il Bosco Caproni si estende per circa 44 ettari alla base del fianco occidentale delM. Stivo: è possibile compiere l'escursione in ogni periodo dell'anno con un impegno di circa 2 ore. Le attrattive del percorso, adatto assolutamente a tutti, sono di vario genere: dal punto di vista naturalistico si registrano il bosco di lecci più settentrionale d'Europa, piante di olivo, vegetazione spontanea (rovi, carpini, ciliegi selvatici) e poi piante di castagno nella parte più alta.
Giunti nel grazioso paese di Massone, raggiungibile dalla vicina Bolognano, si seguono le indicazioni per le “Falesie di policromuro”: l'area è molto frequentata dagli appassionati di arrampicata libera data la presenza di naturali e maestose pareti rocciose a strapiombo sulla vallata. 

Le Cave di oolite del Bosco Caproni
Le Cave di oolite del Bosco Caproni sono l’elemento più suggestivo del percorso. Sono scavate profondamente nella roccia del dosso di Vastrè e si presentano con grandiosi antri oscuri dove, per non far crollare il “tetto”, i cavatori hanno mantenuto una serie di grandi colonne di roccia.
In queste cave si estraeva una pietra calcarea chiamata pietra statuaria, particolarmente adatta ad essere lavorata per produrre statue, per abbellire le sommità delle colonne, per realizzare altari o capitelli. Con questa pietra sono state scolpite le statue che ornano il ponte Taro a Parma, la fontana di Piazza Duomo a Trento, le statue di Prato della Valle a Padova, alcune statue nella Collegiata ad Arco e la statua di Mosè di Arco. Una particolare applicazione della pietra consisteva nella realizzazione di tubi per gli acquedotti; resti di queste tubazioni si rinvengono ancora qua e là nelle campagne dei paesi del Basso Sarca.
Dopo secoli di utilizzo, nella seconda metà del 1800 il lavoro di estrazione si ridusse in maniera notevole, fino a essere abbandonato del tutto. Durante la Seconda Guerra Mondiale le cave furono usate come rifugio antiaereo dagli abitanti di Massone e San Martino.

Oltre alle Cave di oolite il Bosco Caproni offre molte altre attrattive naturalistiche: è presente lungo il percorso una flora molto varia, con piante di olivo, leccio e altre specie mediterranee; nel tratto alto si raggiunge una zona dove crescono castagni secolari. Lungo il sentiero sono presenti vistosi esempi di corrosione carsica delle rocce, che si manifestano con profonde incisioni e fessurazioni delle placche rocciose.

Con una piccola deviazione dal percorso (segnalazione percorso delle trincee), si può visitare un esteso sistema di trincee della Prima Guerra mondiale, predisposto dai comandi austriaci per controllare la valle della Sarca.
Le trincee di Massone sono inserite nel percorso storico-naturalistico del Bosco Caproni: magnifici sono i panorami sul castello di Arco, sul Monte Brione, sui paesi di Dro e Ceniga, sulle imponenti balze rocciose della Valle della Sarca. Le trincee, il cui basamento è in parte scavato nella roccia, sono costituite da mirabili muretti a secco, testimonianza della perizia e competenza di chi le ha realizzate. Le trincee del Bosco Caproni sono state recuperate grazie al lavoro congiunto degli alpini della sezione di Arco, dai volontari del NU.VOL.A e dai riservisti tedeschi del Distretto di Oberhessen. Risale a mezzo secolo fa (1960) il gemellaggio tra la città di Arco e quella tedesca di Schotten: nell'ambito di quest’amicizia si è sviluppata la collaborazione tra il gruppo degli alpini arcensi e il Kreisgruppe di Oberhessen, cioè i riservisti di Schotten. Il primo obiettivo condiviso tra i due gruppi è stato quello di promuovere la pace e la fratellanza tra tutti i popoli e le comunità, diverse per lingua e costumi. Nel 2008, in occasione dell'ottantesimo di fondazione del Gruppo Alpini di Arco, si è ufficialmente concretizzato il gemellaggio con il Kreisgruppe di Schotten. Alpini, riservisti e volontari del NU.VOL.A hanno lavorato fianco a fianco nel recupero e nella pulizia delle trincee del “Bosco Caproni” e hanno restituito un preziosissimo tassello di storia a tutta la comunità dell'Alto Garda.
("Bosco Caproni (Arco-Trento):guida al percorso storico naturalistico", testi di Francesco Rigolbello, Fiorenza Tisi, Romano Turrini, Museo tridentino di Scienze Naturali, Trento 2004)

I tre bivacchi del Pian dela Nana (Brenta)

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Chi percorre il Pian dela Nana in direzione del Brenta centrale si imbatte non in uno, ma in ben tre bivacchi. E tutto ancor prima di affrontare la salita che porta al Sasso Rosso...
bivacchi del pian dele nana
Il vasto anfiteatro erboso del Pian dela Nana visto da Malga Tassulla. Da qui la lunga cresta settentrionale del gruppo di Brenta non si vede, è nascosta dalla corona a ferro di cavallo che ha al centro il Sasso Rosso. Il Pian dela Nana è dominato dal panettone erboso del Monte Peller (a destra, fuori campo).

bivacchi del pian dele nana
Il bivacco "Guido Pinamonti"è ricavato in una sezione dello stallone di Malga Tassul-
la. Il bivacco "Baita Nana" si trova poco oltre il Pinamonti ed è più recente dell'ultimo
dei tre, il quale è segnato nella cartina 4Land come "Malga Nana" ma nelle tavolette
IGM risulta essere "Baito Nana", come del resto nella Kompass. Un bel casino... Ai
tre bivacchi andrebbe poi aggiunto (ma solo nei mesi invernali) il locale invernale del
vicino rifugio Peller, posto in un bel locale separato interamente in legno che prende il
nome di "Bivacco Iuffmann".
Vedi le altre foto in Google Photo.
Il vasto pianoro erboso del Pian dela Nana si trova sopra Cles, quattro chilometri di pianeggianti pascoli da malga posti all'estremità Nord della lunga catena dolomitica del Brenta.
Puntando verso le alture che chiudono a ferro di cavallo la piana si incontrano, nell'ordine: il
GPS bivacchi del pian dele nana
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
bivacco Guido Pinamonti (ricavato nello stallone di Malga Tassulla), il bivacco Baita Nana e il bivacco Malga Nana, tutti a breve distanza l'uno dall'altro.
Gli ultimi due sono senz'acqua, è vero, ma in caso di sovraffollamento estivo possono tornare davvero utili.
D'inverno i tre bivacchi possono diventare la meta di una facile ciaspolata in un'ambiente grandioso e di sicuro poco battuto.
bivacco Guido Pinamonti a Malga Tassulla
Bivacco "Guido Pinamonti" a Malga Tassulla (m 2.090). Acqua corrente interna, stu-
fa a legna, stoviglie, tavolo con panche, sei posti letto con materassi e coperte. D'in-
verno le lampadine elettriche restano spente.
Attenzione però: con neve abbondante non si potrà arrivare in auto fino al parcheggio dei Laghi Durigiati, ma bisognerà mettere in conto qualche chilometro di camminata in più, a seconda delle condizioni della
strada che sale da Cles.

Quote e dislivelli (dati del GPS):
bivacco Baita Nana
Bivacco "Baita Nana" (m 2.072). Stufa a legna con tavolo e panche. Niente acqua.
Diversi posti letto su tavolato ma niente materassi nè coperte. Veranda esterna con
due tavoli e panche al coperto.
Quota di partenza/arrivo: m 1.900 (parcheggio sotto il rifugio Peller).
Quota massima raggiunta: m 2.126
Dislivello assoluto: m 226
Dislivello cumulativo in salita: m 452
Dislivello cumulativo in discesa: m 444
Lunghezza con altitudini: km 9,6
bivacco Malga Nana
Bivacco "Malga Nana" (m 2.107). Stufa a legna con tavolo e panche. Niente acqua
ma ci sono diverse stoviglie, per lavarle ci sono le taniche in plastica con cui si fa
rifornimento all'abbeveratoio situato nel vicino avvallamento. Quattro posti letto
su tavolato con materassi e coperte.
Tempo totale netto: ore 2:45 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata. 

Come arrivare: dal Cles ci si dirige alla trattoria "Al Bersaglio" da dove inizia la lunga e stretta strada, inizialmente asfaltata che porta fino al parcheggio in quota posto subito sotto il rifugio Peller. La sua percorribilità varia con l'innevamento. Meglio inverni secchi come questo si riesce ad arrivare sino al parcheggio; più neve c'è e prima bisogna fermarsi per proseguire a piedi.

L'antica trattoria "A Le Due Spade" di Trento

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Morta e defunta come trattoria popolare, è stata sostituita da una imbarazzante "location" che se la tira. E pensare che ne aveva parlato Elio Fox nella sua benemerita "Storia delle osterie trentine", dove ricostruisce e ricorda le tortuose vicende che, secolo dopo secolo,
trattoria alle due spade trento
Anni Ottanta: in un clima bolso e provincialotto una razza di affaristi rampanti si face-
va bella frequentando certi locali piuttosto che altri. Gli anni sono passati e al delirio
si è sostituita la decadenza. Cosa ne dice Tripadvisor? Ecco qui: "...nulla è cambiato
da oltre 500 anni...... Menu eccellente e servizio impeccabile. Abbinamento di vini
eccellente".
Mah... mi vengono in mente le "Dolomiti da bere".
ne avevano fatto un tassello impor-tante della storia cittadina.
Ma quando quel tempo era ormai alle spalle la "città del Concilio" s'è affidata a personaggi da "mani pulite" come Mario Malossini, personaggi che avrebbe fatto arrossire non dico Alcide Degasperi, ma anche Bruno Kessler, che pure era uomo di mondo.
In quel clima agitato e esibizionista la nuova razza rampante frequen-tava certi locali piuttosto che altri: contava esserci e, soprattutto, riconoscersi fra simili.
Il conto "doveva" essere salato: erano i soldi a certificare la qualità. Gli anni sono passati e dopo il delirio è sopravvenuta la decadenza: quel che resta di quelle storditezze è la faccia tosta: "torta sacher destrutturata in coppa, strudel ai "bruscandoi" in pasta kataifi con sushi di carne "salada" e crème brulée al Vezzena, filetto di cervo in gemme di abete bianco, rotolo di orata con scampo e asparagi in calice con spuma al Trentodoc, emulsione di patate e asparagi con salmarino [sic!] marinato, flan d'asparagi con ventaglio di speck d'anatra e spuma al 50/50". Tutto esibito sul cavalletto, apertamete, senza nessuna vergogna...


Consigli per i turisti (baedecker per "sciare informati" in Sudtirolo)

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"Spaesati"è dovuto alla penna agile di un giornalista che conosce bene storia e risvolti di questa terra di confine, malamente colonizzata dal fascismo (i cui fantasmi sopravvivono nelle teste di tanti nipoti e figli dei "migranti del Duce" che arrivarono qui negli anni fra le due guerre).
Spaesati Lucio Giudiceandrea
E' stato a lungo giornalista presso la sede RAI di Bolzano (come Lilli Gruber); è nato e
e cresciuto a Bolzano. Suo padre è stato magistrato, prima a Bolzano, dove è ricorda-
to per l'apertura mentale di cui seppe dar prova in anni difficili e poi a Roma con il de-
licato incarico di Procuratore Generale.
Forse Lucio Giudiceandrea avrebbe potuto intitolare il suo lavoro (che si ferma al 2005) "In cauda venenum", nel senso che il fascismo - andandosene - ha lasciato in eredità alle nuove generazioni italiane un futuro da stranieri in terra straniera: gli italiani dell'Alto Adige e i loro partiti sembrano ancora para-lizzati dalle tossine iniettate ai loro nonni e genitori quando il Duce voleva trasformare i sud-tirolesi in "italianissimi".
Altri cronisti orientati a sinistra come Giorgio Bocca e Seba-stiano Vassalli avevano scritto del Sudtirolo:l'avevano fatto attingendo informazioni presso gli esponenti dell'establishment italiano locale, per lo più di destra quando non fascista, e questo spiega i loro clamorosi abbagli. Giudiceandrea invece è nato e vive lì, parla il tedesco ed è in grado di cercare le sue fonti in entrambi i mondi.
Chi non ama le ricostruzioni storiche e mal sopporta le analisi politiche farebbe bene a tenerne una copia nella giacca a vento: metà del libro è fatto da un "glossario" di termini sicuramente ostici per chi del Sudtirolo cono-sce solo la reception dell'albergo e la stazione dell'impianto: Heimat, proporzionale, paten-tino, Pacchetto, Schützen, etc. Roba semplice ma che aiuta a capire...

(Lucio Giudiceandrea, "Spaesati. Italiani in Südtirol", Edition Raetia, Bolzano, 2006)

Ai laghetti di Lamar (monti di Trento)

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Un giro ad anello appena sopra Trento, da Cadine ai Laghi di Lamar, sempre nei boschi.
Laghi di Lamar da Cadine
Sembra strano, ma fra le zone più amate dall'orso trentino ci sono queste: vuoi vedere che ama i capannoni? Sa muoversi in una rete di stradelle e sentieri molto battuti nei secoli passati quando la gente scendeva da Terlago a Zambana per la via più breve. Piste che oggi sono note solo ai locali e, a quanto sembra, al povero orso reintrodotto a forza per farne un gadget turi-stico, ma sempre più spaesato fra capannoni e strani forestali che lo marcano stretto.
Laghi di Lamar da Cadine
A parte la ripida rampa sopra Bocca Paloni, tutto il resto è nel bosco ceduo.
Vedi le altre foto in Google Photo.
I due laghetti di Lamar si trovano ai piedi della Paganella, sopra Terlago e sopra Zambana insieme, in una zona di bassa montagna snobbata dagli alpinisti e escursionisti ma attraversata da una ragnatela di strade, sentieri e antichi percorsi che ci parlano di frequentazioni e passaggi antichi e che creano problemi di orientamento a chi non è del luogo.
GPS Laghi di Lamar da Cadine
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
Di solito ci si va d'estate e in macchina, per fare una nuotata. In questo inverno secco e polveroso ci arriviamo da Cadine dopo aver lasciato l'auto nel parcheggio appena fuori paese, sotto la bassa elevazione del Soprasasso.
E' in sostanza un giro nei boschi attorno a Trento, dettato più che altro dalla curiosità di vedere posti che, pur essendo "nel cortile di casa"...
Siamo a bassa quota, qualche centinaio di metri sopra la periferia nord di Trento, quasi a quota capannone eppure non incontriamo anima viva.
Sopra Bocca Paloni c'è uno
strappo ripido ed esposto, che è anche il tratto più panoramico e "alpinistico". Al ritorno c'è un tratto abbastanza ripido e scivoloso dopo il segnavia "Vertigine".Per il resto è tutto in rilassante bosco di faggi e carpini.

Quote e dislivelli (dati del GPS):
Quota di partenza/arrivo: m 522 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 879
Dislivello assoluto: m 357
Dislivello cumulativo in salita: m 812
Dislivello cumulativo in discesa: m 811
Lunghezza con altitudini: km 13,6
Tempo totale netto: 5:00
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata. 

Come arrivare: da Cadine (sobborgo di Trento lungo la statale Trento-Riva) ci si porta in zona campo sportivo proseguendo verso il bosco fino ad un'area attrezzata con parcheggio auto.

Da dove viene la vituperata salsa Ketchup

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Gli sciamani del gusto la snobbano, ma al popolo piace. Eh sì, nell'uni-verso del foodly-correct c'è proprio qualcosa che non quadra...
ketchup
Charlie Chaplin fissava in "Tempi Moderni" i ritmi convulsi della catena di montaggio
mentre Pasteur metteva a punto il procedimento per conservare prodotti alimentari
che prende il suo nome. Contestualmente iniziò il congelamento delle carni e si svi-
luppò l’inscatolamento dei cibi in scatole di latta a chiusura ermetica, eccetera. E'
questo il brodo di coltura da dove nasce il Ketchup: Rivoluzione Industriale, urbane-
simo, industria alimentare, tecniche di conservazione, mense operaie. Proprio l'op-
posto del foodly-correct che va per la maggiore tra la bella gente di montagna...
L'attuale salsa Ketchup (tomato ketchup) è un'invenzione del capi-talismo americano ed è fatta con pomodoro, cipolla, aceto, zucchero e spezie.
La ricetta si sviluppa sul finire del '700 e nel 1812 vede la luce il primo tomato ketchup creato da James Mease, di Philadelphia.
Nel 1872 Henry J. Heinz sviluppò la ricetta che la sua azienda (la Heinz, appunto) utilizza ancora oggi. In contrasto con le consuetudini di allora, Heinz aumentò la quantità di aceto e di zucchero, aggiunse la ci-polla e un mix di spezie. Questa combinazione di sapori divenne talmente famosa che negli USA il termine ketchup si identificava con la salsa industriale di Heinz.

Corno della paura (Monte Baldo)

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Semplice camminata fra dossi panoramici fortificati dagli Austriaci e strade  militari tagliate nella roccia, passando anche da un bivacco completamente in pietra ricavato da una vecchia casera in"stile Lessini".
Corno della Paura
Dalla piazzola d'artiglieria del Corno della Paura verso il dosso Le Colme de Vignola, che nasconde il Monte Vignola. Sulla sinistra l'Altissimo di Nago. Tra i due, sullo sfondo, il Gruppo di Brenta, il Monte Stivo, Cima Alta e le Tre Cime del Bondone.
Corno della Paura
La strada militare che collega il Monte Vignola al Corno della Paura. Dall'altra par-
te della Val d'Adige il vasto altipiano dei Monti Lessini, con il rifugio Castelberto
ben visibile al suo margine settentrionale.
Vedi le altre foto in Google Photo.
Ci troviamo sulla verticale del Castello di Avio, esattamente dove correva il confine tra l'Impero Austro-ungarico e il Regno d'Italia. Questa ariosa camminata in quota sfrutta ancora oggi la rete di strade militari costruite dagli austriaci dopo il 1866, quando gli imperiali persero il Veneto e il confine coi regnicoli risalì la Vallagarina fino a Borghetto.
GPS Corno della Paura
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
Dall'altra parte della valle c'è l'altipiano dei Lessini, altrettanto ricco di pascoli e povero di alberi. Di qua e di là dell'Adige malghe e casere sono state costruite interamente in pietra, compreso l'originale bivacco Vignolet, ricavato appunto dagli edifici di una malga dismessa.

Quote e dislivelli (dati del GPS):
Quota di partenza/arrivo: m 1.291 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 1.578
Dislivello assoluto: m 287
Dislivello cumulativo in salita: m 908
Dislivello cumulativo in discesa: m 898
Lunghezza con altitudini: km 14,0
Tempo totale netto: ore 4:15 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata.

Come arrivare: si lascia la A22 al casello di Rovereto Sud dirigendo poi verso il Lago di Garda. A Mori si imbocca la strada per Brentonico, lo si supera e ci si dirige agli impianti sciistici della Polsa. Grande piazzale-parcheggio all'altezza del Campeggio Polsa.

Le cinque passeggiate di Merano città

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Le Promenaden sono passeggiate quattrostagioni buone per tutte le età, eleganti camminate che avvolgono l'abitato in un abbraccio di insuperata bellezza. Questi percorsi pedonali che si muovono fra palazzi e giardini che sono stati ideati,
Meraner Promenaden
Le Promenaden sono percorsi urbani, cittadini, che nascono e finiscono dentro la
città, il suo fiume e i suoi scorci: Passeggiata Lungopassirio, Passeggiata  d'estate,
Passeggiata d'Inverno, Passeggiata Gilf, Passeggiata Tappeiner. Lo stesso stile mit-
teleuropeo che ritroviamo nella Küstenland istriana, dal Sentiero Rilke alla straordi-
naria passeggiata a mare che da Laurana portava fino a Volosca.
finanziati e creati "motu proprio" dalla borghesia fien de secle, quella della belle époque mitteleuropea, che parlava francese e viaggiava a tutta velocità verso il disastro epo-cale della Grande Guerra (dopo essersi spartita il globo negli anni del Colonialismo).
Una borghesia trionfante che a ca-sa propria era però ancora capace di esprimere il meglio, anche in ter-mini di valori e comportamenti personali.
Delle cinque passeggiate solamente la Tappeiner si avventura negli im-mediati dintorni cittadini, altrimenti riservati agli escursionisti: lo fa co-steggiando la collina collina di Tirolo, muovendosi in cornice appena sopra il centro storico medioevale, ad altezza di campanile, nulla di più.

Trainata dallo sci, l'ideologia del foodly-correct si è ormai spinta fino a quota rifugio

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Questa moda fighetta e decadente ha espulso dai rifugi i piatti della nonna e li ha sostituiti con gli irritanti "percorsi del gusto", sempre all'insegna della "riscoperta" ma sempre più simili ai bastoncini findus. Gusti che ci parlano delle idee. Sì, quella confusione mentale che le masse in fuga...
Lo chef modaiolo è un esteta decadente: vuole stupire, sorprendere, emozionare.
"Queste idee sono figlie del disorientamento e della mistificazione, una mania foodly-
correct che fa parte del ben più totalizzante politically-correct (due bei prodotti cali-
forniani trapiantati nel radical-chic nostrano, ma nella versione dolciastra dei Beach
Boys, mica in quella asprigna degli Jefferson Airplaine."
(Franco Cardini, "La bottega del professore", La Feltrinelli Edizioni)
...dai condomini urbani si portano dietro assieme a cemento e asfalto, distributori, guarda-rail, rotatorie e car-wash, cartelloni, pubblicità e plastica. Ci sarebbe anche l'inquinamento, ma ormai chi ci pensa più...
I gusti da autogrill invadono paesi, trattorie, malghe, rifugi e salgono sempre più sù.
A dirigere il traffico ci sono i guru mediatici: i Petrini di Slow Food o i Farinetti di Eatitaly o ancor più i cuochi "intellettuali" come il grot-tesco "cuoco di d'Alema" o l'impu-nito di "che ci fa qui Carlo Cracco?".
Tutto sempre piuttosto caro e sempre di poca scorza. Poi ci sono i "presidi slow-food", adorati nei salotti radical-chic ma molto meno arrapanti se osservati da vicino: ecco allora le ciuìghe fatte con pochissime rape, sennò non piacciono, la mortàndela fatta coi tagli di prima scelta sennò non piace, e avanti così. Uno sbriciolamento dei costumi, fino al delirio dell'Expo milanese 2015, sfacciatamente intitolato "Nutrire il pianeta".

Bivacco Busa delle Dodese (altipiano di Asiago)

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Camminata fino al bordo dell'altopiano di Asiago, con in mente Cima Dodici, dove passava il confine fra l'Impero giallo-nero e il Regno bianco-rosso-verde.
Bivacco Ruggero Lenzi alla Busa delle Dodese
Molti racconti di Mario Rigoni Stern sono ambientati da queste parti: storie di guerra e di confini, di emigrazione e contrabbando, di boscaioli e cacciatori e bracconieri, di bombardamenti e ricostruzione, occupazione e resistenza. Ma per meglio orientarsi nell'altopiano bisogna sapere anche delle trincee di "Un anno sulll'altipiano" e delle malghe dei "Piccoli maestri".



Bivacco Ruggero Lenzi alla Busa delle Dodese
Dal ciglione dell'altopiano verso Borgo Valsugana e la lunga catena dei Lagorai.
Vedi le altre foto in Google Photo.
I monti di Asiago prendono quota lentamente, dapprima boscosi, poi coperti da praterie alpine che più in alto ancora diventano aride ondulazioni carsiche punteggiate dalle macchie scure dei mughi.
I monti dell'altipiano sono attraver-sati da un rete di strade militari co-struite durante la prima guerra mondiale e ancora in ottimo stato.
Una risale la Val Galmarara, puntando con decisione verso Nord., fino alla Cima Dodici, la cima più alta della cresta roccisosa che domina la Valsugana e fronteggia i
GPS Bivacco Ruggero Lenzi alla Busa delle Dodese
Risalendo la Val Galmarara si incontrano due bivacchi e due ricoveri che possono
tornare utili in caso di maltempo.
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
Lagorai.
Dal parcheggio di Galmarara ci teniamo su una di esse fino al Bivio Italia, una passeggiata  turistica su terreno aperto e a pendenza costante. Dal bivio alle spalle del casotto di pietra pomposamente battezzato "bivacco" prendiamo il sentiero per Cima Dodici, ma aver dimenticato i ramponcini dobbiamo fermarmi poco sotto la croce di vetta (quella in ferraccio, il "ferozzo" ricordato in un bel racconto di Mario Rigoni Stern e tutt'ora presente nella cartografia
ufficiale dell'Istituto Geografico Militare di Firenze).
Se salendo pensavamo al confine di Cecco Beppe durante la discesa pensiamo ai traffici di mare di Venezia la Dominante.

Quote e dislivelli (dati del GPS):
Quota di partenza/arrivo: m 1.620 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 2.251
Dislivello assoluto: m 630
Dislivello cumulativo in salita: m 883
Dislivello cumulativo in discesa: m 883
Lunghezza con altitudini: km 17,5
Tempo totale netto: ore 5:15 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: la traccia GPS toglie ogni problema di orientamento e rende superflua la descrizione dettagliata.

Come arrivare: si percorre la strada provinciale SP349 che collega Passo Vezzena ad Asiago fino alla diramazione su strada bianca per la Val Galmarara (poco evidente, piccolo cartello segnaletico) e da qui si sale su fondo dissestato fino al parcheggio auto posto nei pressi di Malga Galmarara.

La mortandela di Caldonazzo

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Non viene citata da Slow Food ed è quindi meno blasonata, ma secondo me è più legata alla tradizione di molte altre che stanno sgomitando nei supermercati e che sembrano salami da taglio però tondi.
mortandela di caldonazzo
Un tempo i salumi erano fatti solo col budello naturale e se l'intestino non bastava
occorreva pensare ad altro: si utilizzava allora l’omento del maiale, quella rete di
filamenti grassi che avvolge le viscere e le mantiene al loro posto. E' imparentata
con la versione non stagionata della mortandela nonesa.
E' prodotta dalla macelleria di pae-se a Caldonazzo, è molto fresca e morbida perchè non è nè affumicata nè stagionata.
Viene venduta avvolta nella rete di grasso bianco del maiale, un sosti-tuto del budello intestinale e anche della sua alternativa, la spolverata di farina gialla da polenta.
mortandela di caldonazzo
Rapidamente fritte in padella nel vino rosso e condite con cipolla e salsa ajvar.
Un tempo le mortandele si face-vano con le parti meno pregiate del maiale, che venivano trattate come la carne, ossia si macinavano. Si aggiungeva il grasso e poi si insa-poriva il tutto con aromi.
Le versioni attuali sono invece più raffinate.
Si utilizzano anche parti provenienti dalla lavorazione di coscia, spalla, fesa, filetto e fegato con l'aggiunta del grasso della pancetta.
L’impasto viene aromatizzato con pepe, aglio, cannella. Lo si prende fra le mani e gli si dà la forma di un canederlo, premendo bene per far uscire l’aria.
Poi si avvolgono nell’omento che è stato prima ammorbidito in acqua tiepida.

Bivacco Vignolet, nel Baldo trentino

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Questo bivacco è interamente di sasso, dalle fondamenta alle lastre del tetto. La vecchia Casera Vignola è stata riconvertita a bivacco ma non ha perso la sua identità.
bivacco vignolet
Il bivacco Vignolet (ex-Casera Vignola) si trova a 1.360 metri sul versante meridio-
nale del Monte Vignola, sull'altopiano di Brentonico. Siamo nella parte tremtina del-
la catena del Baldo, ma lo stile dell'architettura rurale è tutta veronese. Si raggiunge
agevolmente dall'altopiano di Brentonico, come descritto in questo post.
Il posto è suggestivo (in mezzo a un prato che strapiomba sulla valle del-l'Adige, proprio sulla verticale del castello di Avio) e anche piuttosto curioso perchè la costruzione è in-teramente in pietra, cosa che fra le montagne del Trentino è decisa-mente inconsueta.
Sembra di essere fra le praterie dei Monti Lessini, che in effetti sono a un tiro di schioppo, dall'altra parte della valle, ugualmente pianeggian-ti, erbosi e carsici, dominati da va-ste distese di pascoli punteggiate da qualche rado ciuffo di faggi.
Il legname da costruzione scarseg-
bivacco vignolet
Il posto si presta bene alle bivaccate estive. Per la legna, direi che ci si può portare
dietro uno o due sacchetti di carbonella, che è piuttosto leggera e non darà noia du-
rante la (breve, circa 1:30 ore) marcia di avvicinamento dal parcheggio della Polsa.
gia e costruire in pietra fa parte della cultura materiale delle prealpi veronesi.
L'edificio è diviso in due: nel corpo superiore, dotato di ingresso sepa-rato, c'è il dormitorio. Sono sei posti letto su tre letti a castello. I mate-rassi non ci sono, ma il contatto di-retto con le reti è evitato da sottili materassini di gomma-piuma piut-tosto dura.
Il corpo inferiore, la cui porta a vetri si affaccia sullo spiazzo esterno, si compone di un andito (dotato di stufa a legna, cucina a gas e lavello con rubinetto) e di un altro locale, più interno, con tavolo, panche e caminetto, con funzione di saletta da pranzo.
Lo spiazzo esterno, poi, è dotato di tavolo con panche, lavello in pietra con rubinetto e anche di un bel barbecue in pietra. Il bivacco è allacciato alla rete idrica dell'acquedotto, ma d'inverno la fornitura viene chiusa. La legna scarseggia e per procurarsene di nuova bisogna spingersi fino al vicino bosco ceduo.



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