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L'eremo di San Martino a Carisolo

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Al'imbocco della Val Genova, irta di selve, miti e leggende.
Il romitorio, che è visibile anche dalla chiesa di San Vigilio a Pinzolo, era più noto in passato, tanto da attirare l'attenzione di Michele Angelo Mariani, il noto cronista del Concilio di Trento: "Altra simil chiesa notabile è quella di S. Martino, posta sopra un dirupo o scoglio a mezzo il monte che guarda in Val Genova. Vi s'ascende per un sentiero a serpe, molto erto in un hora di cammino e nel giungere si gode di un bel prospetto. Alla chiesa sta vicina la Casa dell'Eremita che vi abita in sito veramente anacoretico, non senza qualche commodità di horti e vi passa l'acqua."       (Michelangelo Mariani, 1673, pag 550)
Il sentiero che dalla Val Genova sale fino all'eremo è attrezzato con ripari e cavo
d'acciaio nei tratti finali, a volte assai esposti ma sempre percorribili in sicurezza.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album.
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
Dove il Sarca di Genova confluisce nel Sarca di Campiglio si forma una piana che ospita due belle chiesette giustamente molto famose, quella di San Vigilio a Pinzolo (più famosa per le pitture) e quella di Santo Stefano a Carisolo, che se ne sta abbarbicata su un masso affiorante dal fondovalle alluvionale.
Non tutti notano un puntino bianco che spunta fra i ripidi boschi sovrastanti: la chiesetta-eremo di San Martino si trova 375 metri più in alto, a quota 1.226 sulle ripide e boscose pendici della Pala di Dalgon, nella valletta del Rio San Martino che scende dalla Malga Saradole e dal Pian de l'Asèn.
E' un romitorio minuscolo, che compare in un documento steso a Carisolo il 10 giugno del 1312 e che venne ricostruito sul finire del Quattrocento dal sacerdote eremita Baldessare de Pluzana, su concessione del vescovo di Trento Giovanni Hinderbach. Il de Pluzana proveniva dal bergamasco, come i Baschenis, celebri pittori itineranti molto attivi in Trentino e vi menò vita d'eremita fino al 1520, quando morì. L'ultimo abitante del

romitaggio viene segnalato a fine Settecento.
Per la ricorrenza di San Martino i fedeli di Carisolo vi salivano in processione lungo il percorso devozionale che sale dalla chiesa di Santo Stefano e che nei suoi tratti più ripidi è ancora lastricato e completato da scalini in pietra. I tratti più esposti sono assistiti da fune metallica ben fissata.

Quote e dislivelli:
Quota di partenza: m 850 (Chiesa di S. Stefano)
Quota di arrivo: m 1.226 (eremo)
Quota massima raggiunta: m 1.226 (eremo)
Dislivello assoluto: m 376
Dislivello cumulativo in salita: m 400 circa
Lunghezza con altitudini: km 1,9
Tempo totale netto: ore 1:30 (solo salita)
Difficoltà: E

Descrizione del percorso:
La chiesa di Santo Stefano (parcheggio) è raggiungibile in auto da Carisolo.

Come arrivare:
Dalla chiesa di Santo Stefano si segue l'indicazione per l'Eremo di San Martino che sale in breve ad incrociare la strada asfaltata della Val di Genova. La si attraversa e si prosegue (cartello) salendo nel bosco. Ai tratti più semplici seguono quelli più ripidi, lastricati o gradinati, a volte assistiti da cordino metallico o staccionata in legno sino ad arrivare all'incassatura col ponticello che scavalaca il rio San Martino, ormai poco sotto all'eremo, il cui sito si raggiunge con un'ultima rampa assistita da fune metallica.

Prima e dopo il ponte sul Rio Nero

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Ad Aldein/Aldino il tempo si misura dalla costruzione del ponte. C'è un prima e un dopo, e dopo tutto è cambiato molto in fretta.
L'attuale strada per Aldino venne aperta solo nel 1958. Poi, una volta costruito anche l'ardito ponte ad arco che scavalca il Rio Nero, venne asfaltata e migliorata, ma per una decina d'anni rimase bianca, stretta e ripida tanto che per la discesa al paesino di Olmi (24% di pendenza, d'inverno si montavano le catene per evitare di finire nel torrente) si ricorse ad una piccola corriera 4x4 su telaio Fiat-OM che venne (penso) realizzata ad hoc carrozzando un camioncino della classe Leoncino. Fino al 1970 l'aspetto era quello di questa foto (scattata nel 1914) .
Zoom sul paese dalla vetta del Weisshorn/Corno Bianco. In bianco e nero la sua
sua estensione prima del ponte. La nuova strada ha figliato una colata di edifici
senza costrutto.
Prima dell'apertura della strada, ad Aldino ci si arrivava solo a piedi, risalendo la mulattiera (1000 metri di dislivello) che partiva da Bronzolo, in Val d'Adige. L'isolamento era com-pletato dall'assenza di collegamento con Monte San Pietro e Nova Ponente. Perfino Redagno (che pure era una frazione del Comune di Aldino) era collegato solo via mulattiera.
Il sindaco (al centro e nel riquadro), il segretario comunale, il prete e i carabinieri
con i contadini interessati dal passaggio della nuova strada.
Prima della costruzione del ponte, la nuova strada di Olmi aveva portato qualche
sporadica automobile. Con gli anni Settanta fu chiaro che dietro le auto si era
però infilata la speculazione edilizia: in breve arrivarono il cemento, il mattone,
il turista, i finanziamenti pubblici e il delirio edilizio. Nella foto: l'antica locanda
Stern prima e dopo la cura.
Il paese, antico e minuscolo, era tutto raccolto sul cucuzzolo erboso che sbucava dai boschi sull'altopiano boscoso tra il Corno Bianco e la Bassa Atesina. Una collinetta completata dal profilo della chiesa, d'origine medioevale, che svettava alta sulle croci in ferro battuto del cimitero e che nei giorni sereni era visibile fin dalla periferia di Merano.
Il posto era isolato almeno quanto il Santuario di Pietralba, entrambi si raggiungevano a piedi e tra i due non esisteva nemmeno una strada forestale. Solo mulattiere. Ma essendo il baricentro dell'altipiano, era uno snodo importante, vitale punto di riferimento per i masi che punteggiavano l'altopiano.
Nella manciata di case si contavano ben tre alberghi perchè chi saliva sin lì per motivi di affari o altro, non poteva certo tornare a valle in giornata.
Il più antico, quello della Rosele, era il riferimento per i contadini che la domenica, scesi dai masi per la messa delle undici, si trattenevano poi fino a sera per trattare gli affari e mangiare nelle due Stube a piano terra e per bere e giocare ai birilli sotto la tettoia di legno.
Mogli e figliolanza, fatta qualche spesa nel negozio in piazza, risalivano in fretta al maso, gli uomini si fermavano e bevevano quantità industriali di una

Schiava pallida e acidula. In cucina dominava la vecchia Rosele, che sfornava canederli dalla sua Rauchküche piantata direttamente sulla roccia, cinque o sei gradini sotto il livello del bar.
Da quell'antro nero e affumicato uscivano a getto continuo i piatti che contrappuntavano il basso continuo delle bevute, veramente omeriche.
Il vecchio Gasthof ribolliva di vita, si facevano affari, si sentivano storie, si intrecciavano incontri, e poi la politica: il nuovo ponte, soprattutto. I più benestanti, socchiudendo gli occhi, si raffiguravano il profilo del Maggiolino e i giovani pensavano alla città, ai cinema e alle canzoni italiane...
Oltre alla canonica, c'erano un negozio di alimentari e generi coloniali che vendeva di tutto, dallo zucchero allo spillone da balia, la sede del municipio, dell'ufficio postale e dei vigili del fuoco, la scuola elementare con la sua pluriclasse e anche un enorme tiglio al centro della piazza, con la sua brava panca circolare. Più tardi si aggiunse la caserma dei carabinieri con la cella di sicurezza situata sotto terra e chiusa da una botola. Il piccolo centro era completato dal ricovero per anziani.
La corriera andava e veniva da Bolzano tre volte al giorno, il sindaco fabbricava cassette da frutta in legno di abete.
Ma i suoi successori si sono dati molto da fare per smontare pezzo a pezzo l'identità del paese. Prima l'hanno circondato con un anello di asfalto e nuove costruzioni, poi hanno aggredito la collinetta con due due strade larghe dieci metri, hanno abbattuto il tiglio secolare con la panca rotonda, smontato, rimontato e moltiplicato per tre tutti gli uffici pubblici e abbattuta la tettoia del gioco delle bocce.
Si sono sbocconcellati l'anima e sono rimasti col torsolo in mano. Hanno fatto letteralmente piazza pulita della loro paese. Oggi la domenica mattina la piazza è desolatamente vuota, silenziosa, linda e tirata a lucido ma anonima come un depliant pubblicitario. Il vuoto è pneumatico, sconcertante come la babele degli stili delle conigliere tirate su in fretta attorno al paese.

Il Sentiero delle Scale a Torbole

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Passeggiata invernale a mezza costa sopra il lago di Garda, fra Torbole e Tempesta.
sentiero delle scale a Torbole
Il sentiero corre nella macchia mediterranea che ricopre le pendici del Monte Altissimo di Nago. La vista si apre sulla sponda occiden-tale. Qui siamo sopra Tempesta e abbiamo davanti i monti di Pregasina e il gruppo della Rocchetta di Riva. L'intaglio della Val di Ledro si incunea fra i due complessi montuosi.
sentiero delle scale a Torbole
Le scalinate sono state realizzate interamente in metallo e sono piuttosto lunghe.
Imbullonate alla roccia e dipinte di verde, rendono il percorso perfettamente sicu-
ro, a prova di bambino, ma ovviamente non possono curare chi soffre di vertigini.
Vedi altre foto in Picasa Web Album.
Tre lunghe scalinate di ferro letteralmente imbullonate alla roccia sopra la Spiaggia delle Lucertole. Il sentiero alterna facili tratti orizzontali (e inghiaiati) a lunghe scalinate metalliche sospese sul lago. Sono ben tre e sono state realizzate con cura, il colore verde ne riduce l'impatto visivo e mostra quanto poco basti, a volte, per non suscitare un senso di orrore nell'escursionista attento al quadro ambientale.
Il percorso inizierebbe dal parco delle Busatte (50 metri più in
sentiero delle scale a Torbole
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
alto) ma noi preferiamo partire direttamente dal lungolago di Torbole e seguire una scala in pietra (tabella) prende quota rapidamente, incuneandosi fra la discutibile edilizia che circonda il vecchio centro lacustre sovrapponendo alla macchia mediterranea una crosta di cemento. Non c'è nulla da aggiungere, se non che è fortemente da sconsigliare a chi soffre di vertigini.

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 65 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 360
(al ritorno)
Dislivello assoluto: m 295
Dislivello cumulativo in salita: m 497
Dislivello cumulativo in discesa: m 509
Lunghezza con altitudini: km 11,5
Tempo totale netto: ore 3:30 AR
Difficoltà: T

Descrizione del percorso: dal parcheggio si segue il cartello indicatore dall'altra parte della strada. Giunti in zona Moietto si seguono le indicazioni "Sentiero delle Scale". Il tracciato taglia in orizzontale la macchia mediterranea con tre successive perdite di quota servite da lunghi tratti di scalinate metalliche. Tra una scalinata e l'altra il sentiero si snoda orizzontale. Giunti sulla verticale di Tempesta il sentiero si innesta su una forestale che con qualche tornante scende al piccolo centro lacustre. Al rientro è possibile fare qualche piccola variazione di percorso (vedi traccia GPS).

Come arrivare: L'auto va lasciata negli spazia pagamento sul lungolago di Torbole, dopo il porticciolo in direzione sud.

Madonna della Corona (Monte Baldo)

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Inconsueta escursione completata dalla salita al vicino Monte Cimo, da dove il panorama si apre sulla catena del Baldo e sull'altipiano dei Lessini.
Il santuario visto dal vicino Monte Cimo (meta ultima dell'escursione). Oltre che in Wikipedia, le vicende storiche di questo strano posto sono efficacemente riassunte nel sito www.magicoveneto.it e richiamate nel sito ufficiale del santuario.
L'ultimo tratto della salita al santuario consiste in una serie di rampe realizzate a
partire dagli anni Sessanta e terminate da pochi anni. Il santuario è raggiungibile
anche scendendo dal soprastante nucleo abitato di Spiazzi in un quarto d'ora.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album.
Non fosse per il dislivello (sono pur sempre ottocento metri) si potrebbe considerarla una passeggiata divisa in due parti. La prima, affascinante e sorprendente, segue il percorso devozionale che porta i pellegrini dal fondovalle al santuario; la seconda che risale fino al paesino di Spiazzi e per spingersi poi al mammellone al vicino Monte Cimo, un mammellone erboso affacciato sulla pianura.
Sono millecinquecento i gradini che collegano Brentino, il paesino
Scarica la traccia GPS.
della destra Adige, con il santuario appollaiato nella - più che sulla - roccia della parete verticale del Monte Baldo, 600 metri più in alto.
Si sale lungo un percorso scalinato molto ardito e molto ben realizzato che lo unisce al nucleo storico di Brentino, una via battuta dai fedeli e dotata di parapetti in pietra lungo le rampe e di corde metalliche nei punti dove d'inverno può crearsi qualche lastra di ghiaccio.
Fin dall'inizio si sale ripidamente seguendo la bella scalinata che inizia di fronte alla grande fontana-lavatoio in pietra. Si procede inseguiti dal frastuono dell'Autobrennero,
inanellando ripidi tornanti lastricati e gradinati. Più in alto la via si spiana e diventa un facile traverso nel bosco che porta fino alla base della parete verticale che ospita il santuario. Una serie di rampe di scale (un piccolo miracolo di ingegneria) ci porta ad un barbacane merlato che sembra preannunciare un castello e un'ultima lunga rampa ci porta al complesso di edifici realizzati negli anni attorno al luogo sacro.
Molto raccomandabile la breve salita al paese di Spiazzi (un quarto d'ora) e soprattutto al panettone erboso dell'arioso e panoramico Monte Cimo (altro quarto d'ora) da dove la vista abbraccia l'intera catena del Baldo.
Dal 1922 i custodi sono collegati col soprastante paese di Spiazzi anche da una strada asfaltata in galleria (chiusa al traffico privato) ma è preferibile arrivarci seguendo il percorso pedonale (ancora scale, ma solo per un quarto d'ora). Il panorama qui cambia completamente, si apre una bella vista sull'intera catena del Baldo e tutto diventa più arioso. Dai numerosi bar del piccolo centro abitato si può salire con breve passeggiata al Monte Cimo, balcone panoramico affacciato sulla pianura veronese da dove - finalmente - è possibile fotografare il santuario nella sua intierezza; nessun grandangolo, infatti, riesce a riprenderlo durante la salita: in questo microcosmo verticale gli scatti frontali sono impossibili (ci vorrebbe l'elicottero).

Solo salita al santuario, quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 187 (Brentino)
Quota massima raggiunta: m 773 (sagrato della chiesa)
Dislivello assoluto: m 586
Dislivello cumulativo in salita: m 611
Dislivello cumulativo in discesa: m 18
Lunghezza con altitudini: km 3,2
Tempo totale netto: ore 1:20
Difficoltà: E

Percorso completo, quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 187 (Brentino)
Quota massima raggiunta: m 950 (Monte Cimo)
Dislivello assoluto: m 763
Dislivello cumulativo in salita: m 858
Dislivello cumulativo in discesa: m 841
Lunghezza con altitudini: km 10,9
Tempo totale netto: ore 3:30 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso completo: dal parcheggio (m 187) sino al sagrato della chiesa (m 773) il percorso è costituito prima da un largo sentiero scavato nella roccia,poi da tratti pianeggianti e comodi nel bosco e infine da rampe di scale in muratura sempre dotate di balaustra su entrambi i lati. I tratti scivolosi in caso di pioggia sono inoltre assistiti da fune metallica tipo ferrata. Il tratto che sale all'abitato di Spiazzi ( m 860) è costituito da una larga "via crucis" scalinata. In paese chiedere della tenuta agricola Maso Corona i cui terreni sono lambiti dal sentiero (finanziato dallUnione Europea ma ancora incompleto) che sale alla cima del Monte Cimo (m 956), notevole punto panoramico aperto sulla pianura veronese e sui Lessini.

Come arrivare: la provinciale che corre sulla destra Adige tocca Brentino, piccolo paese ben dotato di parcheggi.


L'Ape scovato nel web

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Un libro "minimo" che guarda nel bucodella serratura della storia novecentesca.
associazione APE
Due parole sulla storia dell'APE e un flash sui difficili
rapporti fra sport e socialismo all'alba del Novecento

Questo libro dal titolo curioso, "Sentieri Proletari", è la breve storia dell’Associazione Proletari Escursionisti (APE) e si presenta anche come "il libro che racconta i primi cento anni dell’alpinismo popolare ed operaio".
Lo fa attraverso le vicende dell’APE , nata a Lecco nel 1919, associazione "d’ispirazione antialcolica e di matrice socialista" che ebbe vita breve ma fu ricostituita nel secondo dopoguerra ed ebbe negli anni sessanta e settanta la sua maggiore espansione.
Il libro, scritto da Alberto “Abo” Di Monte e pubblicato da Ugo Mursia editore, si propone di offrire la prima ricostruzione della trama dell'escursionismo coscientemente antisistema nei primi anni del Novecento (poi spazzato via dal fascismo) e della sua successiva evoluzione.
Il libro viene Presentato questa sera a Milano presso il centro sociale "Piano Terra" in via F. Confalonieri 3 a Milano, nel quartiere Isola.
Per maggiori info si può contattare l’autore (o l’APE).
Non l'ho ancora letto, ma spero che valga la pena di recensirlo e nel frattempo mi è sembrato giusto segnalarne l'esistenza.

La microscopica birreria Forst di Venezia

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Si trova in Calle delle Rasse, giusto dietro l'Hotel Danieli e in realtà è un bàcaro, cichéti compresi.
La Forst veneziana assomiglia più a un bàcaro che a una birreria. Alla tradizione
del cichèto (lo stuzzichino che accompagna l'ombra di vino) si accompagna la
mescita delle birre Forst. Arrivati in Calle delle Rasse bisogna tenere gli occhi
aperti perchè l'insegna è minuscola ed è facile passarci davanti senza vederla.
Per i nostri standard è veramente minuscola, sei piccoli tavolini concentrati in
pochi metri quadrati, eppure per lo standard del bàcaro veneziano, dove di
solito si beve in piedi, è più che confortevole. Del resto questa è una città di
mare dove tutto, dai vicoli ai gabinetti, è minuscolo e quindi perchè stupirsi?
Più che una birreria, la Forst di Venezia è un vero è proprio bàcaro, una di quelle piccole osterie della tradizione veneziana, ed è infatti nel corso di un "giro di bacari" che l'ho scoperta.
I bàcari erano un tempo i vignaioli e i vinai che venivano a Venezia con un barile di vino per venderlo in piazza assieme a qualche spuntino. Il bicchiere di vino si chiamava ombre perchè i vignaioli si spostavano con l'ombra del campanile per tenere il vino più fresco. Poi diventarono stanziali, piazzandosi in piccoli megazzini che fungevano anche da mescita.
Non erano dei ritrovi di buona nomèa o ben visti dalla gente dabbene, tant'è vero che anche oggi quando si vuol definire un bar scadente in quanto a mobilia o pulizia lo si definisce "bàcaro".
La vecchia osteria malandata e generalmente vista male perché considerata un ritrovo per alcolizzati, si è oggi "rinnovata" diventando uno degli elementi caratteristici della città che spesso non offre soltanto
Per un elenco dei principali bacari/trattoria vedi www.thatsvenice.it o anche
in www.agrodolce.it. C'è anche una mappa completa con gli orari di apertura.
cicheti e ombre più o meno di qualità, ma anche portate complete.
L'evoluzione contemporanea vede i bàcari trasformarsi in veri e propri ristorantini finto stazzonato, dal look finto grezzo, in realtà curato nei minimi dettagli per dare l'impressione della tradizionale osteria, trappoloni che nascondono prezzi alti e prodotti standardizzati di piatti presentati come tipici veneziani.
Le pareti sono coperte da fotografie, quadri, immagini o citazioni, come questo
omaggio allo storico LP "Welcome to the canteen" dei Traffic.
Col tempo i cicheti stessi si sono fatti sempre più stuzzicanti e invitanti, quasi a sostituire un
pasto che si consuma in compagnia al banco, o seduti ad un tavolo di legno circondati da un clima informale.
Alcuni esempi di cicheti da provare: mezi òvi (mezzo uovo sodo con acciughe sotto sale); folpeti (polipetti bolliti); spiensa (milza); sepoine (seppie bollite); òvi de sepa (uova di seppia); bovoeti (chioccioline di mare); schìe (gamberetti piccolini); castraùre (carciofi della laguna); rumegàl (interiora di vitello); canòce (cicale di mare); masanete o moleche (granchi molli); museto (cotechino); frito de minuagia (fritto di piccoli pesciolini); garusoi (piccole lumache di mare); peocigratinai (mitili gratinati); nervetti con cipolla.
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Questa mappa è il risultato di una scarpinata di 22 chilometri fra calli e ponti e posso dire di essermi tolto una curiosità: i veri bàcari sono rimasti in pochi (come i veri rifugi in montagna) ma ci sono ancora. Gli altri sono normali ristorantini, e nulla più. Nell'elenco c'è anche qualche posto un po' montato, che promette più di quanto dà. La birreria Forst ha il numero 25.

La croce di Ceniga (Valle dei Laghi)

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Giro invernale che approfitta del clima mite della Valle dei Laghi.
Il percorso che si snoda lungo la dorsale rocciosa che va da Ceniga di Dro fino al castello di Arco si fa largo nell bosco di macchia mediterranea e la roccia carsica del Monte Colt. Da lì la vista si spinge fino alla Paganella (sx) e il Monte Stivo (dx). Le verticali pareti rocciose rivolte a est ospitano una notissima zona di arrampicata (sulla parete del Colodri nel 1987 si disputò il primo Rock Master).

La Croce di Ceniga, dove inizia il tratto pianeggiante che percorre la dorsale del
Monte Colt fino alla chiesetta di Santa Maria di Laghèl, sopra Arco.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album.

Questo giro ad anello ripete (in senso inverso) il battutissimo percorso che dal castello di Arco sale al Monte Colodri e al Monte Colt.
In questo caso è fatto alla rovescia, in contromano, partendo da Ceniga, la piccola e tranquilla frazione posta fra Arco e Dro.
E' una gita che si può fare nelle mezze stagioni oppure quando il meteo sconsiglia di portarsi troppo in alto o troppo lontano.
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
Il percorso è tutto a bassa quota, e si svolge al centro della Valle dei Laghi, nota per il suo clima mediterraneo.
Siamo bassi, ma all'inizio, per raggiungere la croce, il sentiero si fa strada a fatica fra roccette taglienti e supera qualche breve salto esposto che può diventare scivoloso in caso di pioggia.
Una volta raggiunta la croce si spiana e diventa una tranquilla passeggiata panoramica; dalla chiesetta del Laghèl in poi si trasforma in una piacevole Promenade urbana che porta
nel centro storico, zeppo di negozi d'alpinismo. Da Arco il ritorno al Ponte Romano di Ceniga avviene lungo una traquilla stradina secondaria.
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Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 90 (parcheggio)
 
Quota massima raggiunta: m 415
Dislivello assoluto: m 325
Dislivello cumulativo in salita: m 515
Dislivello cumulativo in discesa: m 504
Lunghezza con altitudini: km 11,9
Tempo totale netto:  ore 4:00
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: dal parcheggio ci si dirige a piedi verso il fiume Sarca che si varca su un vecchio ponte in pietra. Il sentiero SAT 431 inizia dallo slargo sulla sponda del Sarca e subito prende a salire nel bosco, lasciandosi sulla destra l'unica casa presente. Le pendici nord del Monte Colt vengono superate con tracciato a serpentine ripido, non banale, con qualche passaggio esposto e delicato e che s'inoltra nel sottobosco tra rocce affioranti d'aspetto carsico fino a raggiungere il punto panoramico della Croce di Ceniga (m. 370).

Come arrivare: raggiungere Dro, paese lambito dalla statale Trento-Riva, e portarsi alla periferia meridionale di Ceniga di Dro, dove si trova un parcheggio nel quale è possibile lasciare l'auto.

Rock Climbing Hall

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Acciaio e fibrocemento nel paese degli Ayatollah.
Lavorando di Photoshop e di Autocad anche 'o scarrafo è bello a mamma soja.
La pochezza dell'architettura globalizzata non conosce frontiere: dalle nostre
Dolomiti ai monti dell'Iran il disprezzo per il quadro ambientale, per il paesaggio,
per i materiali e le forme del luogo è l'esperanto degli architetti in cerca di notorietà
(e di complicità nelle amministrazioni locali).
Non si tratterebbe di una palestra ma di una "esperienza di arrampicata nel villaggio di Polur, popolare campo base degli alpinisti di tutto il mondo, per la scalata del Monte Damavand, la vetta più alta in Iran". Nel consueto linguaggio dell'architetto-narciso l'autore sostiene che "questa roccia artificiale realizzata con una struttura tubolare d’acciaio, ricoperta da pannelli bianchi di fibrocemento, si mimetizza bene nel paesaggio di montagna innevata". Secondo lui questo "frastagliato e sfaccettato frammento poligonale di montagna" stabilirebbe "un forte legame tra gli amanti scalatori e il paesaggio circostante".


A Pregasina per le antiche strade (Lago di Garda)

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Lunga passeggiata su fondo misto: vecchi asfalti, mulattiere selciate e sentieri di montagna.
Da Pregasina verso nord. Il piccolo borgo di Pregasinaè adagiato su un ripiano erboso, un terrazzo campestre a 536 metri di quota, in un silenzio idilliaco. Pochi ettari coltivabili in equilibrio sulle acque del Garda. Un tempo vi si esercitava anche la lavorazione della pietra e il contrabbando, oggi vive di turismo. Il paese è anche punto di parteza per belle escursioni sulle tranquille e  isolate cime retrostanti di Monte Guil (m 1.322), Cima della Nara (m 1.376) e Cima Bal (m 1.260), in un settore delle Alpi Ledrensi decisamente poco affollato.

Salendo a piedi dal lago di Garda si percorre la storica strada del Ponale che da
Riva portava in Val di Ledro e che dal 2004 è diventata il sentiero Giacomo Cis.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album. 
Da qualche anno un lunga galleria rettilinea ha bypassato la vecchia strada che, assieme agli antichi percorsi pedonali, è diventata regno di escursionisti e biciclettari, che si muovono liberi sui tornanti ancora asfaltati.
Fino al 1953 il paesino era collegato alla vecchia strada del Ponale per mezzo di una antica mulattiera selciata che venne abbandonata in seguito alla co-
struzione di una nuova strada ampia e asfaltata che però dopo
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
appena una generazione venne sostituita dalla lunga galleria rettilinea.
Ci siamo addentrati in questa ragnatela di percorsi dismessi direttamente dal lungolago di Riva, imboccando il percorso ciclolopedonale ricavato dal tracciato della vecchia strada del Ponale. Arrivati al vecchio bivio per Pregasina, abbiamo imboccato il vecchio asfalto, per abbandonarlo quasi subito per una bella (e ripida) mulattiera perfettamente selciata. Dopo poco si cambia di nuovo
fondo, stavolta un sentiero di montagna, per salire al Passo di Lè, dove correva il vecchio confine fra Regno d'Italia e Impero Austroungarico.
A Pregasina ci siamo arrivati da dietro, scendendo dal passo.
Dal piccolo borgo abitato abbiamo poi chiuso il giro ad anello scendendo per l'attuale strada asfaltata. Prima di arrivare alla galleria, una grande statua religiosa indica il punto dove prendere il sentiero che riporta alla strada del Ponale, chiudendo così l'anello.


Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 45 (lungolago a Riva del Garda)
Quota massima raggiunta: m 810 (posto barbecue presso P.so di Lè)
Dislivello assoluto: m 765
Dislivello cumulativo in salita: m 1.065
Dislivello cumulativo in discesa: m 1.044
Lunghezza con altitudini: km 16,0
Tempo totale netto: ore 5:00
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: di fronte alla vecchia cantoniera ANAS si imbocca la ex-strada del Ponale che si segue fino al vecchio ristorante di recente ristrutturato dove, all'altezza di una sbarra, lo sterrato lascia il posto al vecchio asfalto della strada del Ponale, ormai in disuso. Prima del ponte sulla gola del torrente Ponale si trascura sulla destra il ramo che saliva con numerosi tornanti in direzione Val di Ledro, si attraversa il ponte e si segue la vecchia strada per Pregasina che, anch'essa ancora asfaltata, si inerpica con una pendenza leggermente maggiore con diversi spettacolari tornanti in direzione dell’abitato di Pregasina. Dopo poco la si abbandona per prendere sulla sinistra la vecchia stradina del 1953 per Pregasina (tutt'ora asfaltata ma chiusa al traffico) la si segue oltrepassando un ponte in pietra e poco dopo lasi abbandona per prendere la mulattiera selciata che sale ripida sulla sinistra (tabelle) per sbucare in breve nei pressi della nuova galleria di Pregasina. Si procede brevemente su asfalto e lo si abbandona per prendere sulla sinistra il sentiero SAT 429 che sale nel bosco fino al Passo di Lè (m 805). Dal passo si scende su sentiero fino a Pregasina (m 535). Usufruendo della strada asfaltata perde quota fino ad un tornante con una grande statua acarattere religioso (m 384). Qui si lascia la strada nuova per quella vecchia e chiusa al traffico il cui nastro asfaltato si diparte sulla destra giungendo infine al ponte già attraversato in salita (m 240) e all'innesto con la vecchia strada del Ponale appena prima del ristorante. Da qui fino all'auto come all'andata.
 
Come arrivare: risolto il problema del parcheggio a Riva, ci si muove sul lungolago della sponda lombarda fino alla ex cantoniera rossa dell'ANAS.Siattraversa la statale esi prende l'imbocco della vecchia strada del Ponale (Sentiero Giacomo Cis - tabelle).

Il ristorante "Cima 12" in Valsugana

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Ai piedi dell'Altipiano di Asiago, dove inizia la Val di Sella.
Il "Ristorante Cima 12" si trova all'imbocco della Val di Sella, alla periferia di Borgo
Valsugana, proprio in vista di Cima Dodici. Sul posto è noto come "dal Grepia" ed
è anche una buona tappa per chi torna dall'Eremo di San Lorenzo o da una tra-
versata della dorsale dell'Armentera.
La scomparsa delle locande e delle trattorie s'è portata dietro la sparizione di certi piatti casalinghi diffusissmi, di pronta fattura e a basso costo.
Pietanze buone e semplici passate da una generazione all'altra sono state soppiantate da improbaili accostamenti basati più sull'aspetto che sulla sostanza, roba che non deve piacere ma "sorprendere" e "emozionare".
Il posto è ruspante ed autentico, privo di raffinatezze, decisamente pop nell'aspetto
e nella sostanza. Forse non tutti gli ingredienti, ma il modo di cucinare e imbastire
i piatti ha un odore di "chilometro zero" che viene dagli usi e dai gusti del posto.
Ricette volatilizzate, evaporate, dimenticate, sparite come gli osti, sostituiti da "ristoratori" slegati dalle tradizioni popolari e dal tessuto locale, sparite come le cuoche soppiantate da "chef" di dubbia origine.
Nelle periferie e nei paesi, qualcosa si trova ancora. Basta chiedere agli indigeni, per esempio al pompista del distributore.
D'estate si mangia fuori, in mezzo al verde, d'inverno nella sala da pranzo sepa-
rata dal bar. Tra i piatti fissi: frittata e patate in padella, canederli in brodo, gu-
lasch con polenta e patate.
Al "Cima 12" si mangia quello che c'è in cucina, le scorte possono
cambiare da un giorno all'altro, e questo spiega la mancanza di un menù "alla carta".
Quello che non cambia è lo stile, ci sono i primi "da camionista", le patate in padella, i canederli, il gulasch, la peperonata, insomma quei "piatti della casalinga" che riflettono un perdurante legame con le tradizione e le identità del territorio. Trovatemi un posto dove si possa ancora ordinare una frittata, come qui!
P.S: sembra fatto apposta per tenere lontani i bamboccioni trend&brand, che infatti lasciano recensioni desolate: "che tristezza!!!!!!!!!!!! cibo mediocre servito con nn curanza in un locale vuoto in piena stagione".

Su e giù per il Renon: al Grumer Eck da Bolzano

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Giro ad anello che da Bolzano sale al Grumer Eck/Monte Tondo e torna in città transitando dalla passeggiata di Sant'Osvaldo.
Si sale dal centro città lungo il tracciato della vecchio trenino del Renon e si ritorna percorrendo la passeggiata cittadina Oswald Promenade (in italiano "passeggiata di Sant'Osvaldo). Nella foto una vista sul colle di St. Magdalena presa appunto dalla Oswald Promenade.
L'anello si chiude con bella vista sui vigneti posti alla periferia settentrionale
del capoluogo. Un percorso analogo ma con partenza e arrivo dal ponte di S.
Antonioè descritto nel blog di Fernando Gardini.
Vedi altre foto in Picasa Web Album.

Mi ero sempre chiesto dove diavolo fosse l'enorme croce che il gran zelo religioso ha piazzato sopra la città di Bolzano e che dal fondovalle si può usare da puntatore per indovinare la posizione di Oberbozen/Soprabolzano e dell'altipiano del Renon.
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
Per arrivarci a piedi dalla città ci si può arrampicare lungo ciò che rimane del tracciato della vecchia ferrovia del Renon (oggi sostituito dalla funivia) e poi imboccarre il "sentiero del Castagno" che con percorsoampio e circolare che sisvolge per lo più nel bosco ritorna in città dal versante della Val Sarentino. La ripida stradina che dalla attuale stazione a valle della funivia si arrampica al colle di S.Magdalena, infatti, altro non è che il vecchio percorso del trenino del Renon. E' veramente ripida enon c'è da stupirsene perchè si trattava del tratto a cremagliera. Quando, più in alto, la si abbandona per seguire il Keschtnweg (sentiero del castagno) si entra nei boschi di castagni e tutto cambia e il percorso torna ad essere
un sentiero di mezza montagna.
Tutto il giro si svolge a bassa quota ed è adatto alle mezze stagioni (d'estate fa caldo) ma se non c'è neve si può fare agevolmente anche d'inverno (ed è questo il caso di quest'anno).

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 265
Quota massima raggiunta: m 1.083
Dislivello assoluto: m 818
Dislivello cumulativo in salita: m 1.064
Dislivello cumulativo in discesa: m 1.034
Lunghezza con altitudini: km 13,7
Tempo totale netto: ore 4:15 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: dalla stazione di Bolzano FS si prende a destra, 600 metri dopo si arriva alla stazione della funivia del Renon. Si prosegue lasciandola sulla destra proseguendo così per la vecchia strada statale del Brennero. All'uscita dall'ampia curva destrorsa si apre sulla sinistra un stretta stradina in salita; la si imbocca e si prosegue a lungo seguendo i segni bianco-rossi AVS 6 transitando da S.Magdalena (m 380) e continuando a cavallo del percorso del vecchio trenino del Renon fino alle tabelle  (m 780) che sulla sinistra indicano "Keschtnweg"; si segue l'indicazione percorrendo il sentiero AVS 2A che s'arrampica nel bosco raggiungendo il ristoro di maso Ebnicher (m 832). Qui si abbandona il ramo principale del
Keschtnweg (che prosegue dritto) e si sale ripidamente a destra proseguendo nel bosco fino ai prati dove ci si immette sulla stradina asfaltata per maso Seeberhof (m 1.000) passando sotto i cavi della funivia del Renon. Si prosegue aggirando a nord il boscoso Grumer Eck/Monte Tondo. A quota 1.070 (tabelle) si abbandona l'asfalto e si prende il sentiero AVS 3 Nesselbrunnsteig. che si diparte verso sinistra e perde quota fino al maso Holzer (m 800) proseguendo poi (in parte a cavallo di una strada asfaltata) fino alla chiesa di San Pietro; poco oltre, ormai in città, si svolta a sinistra per imboccare la Oswald Promenade che si percorre fino al ristorante Eberle. Da qui rapidamente si scende su asfalto fino all'incrocio di S. Magdalena dove ci si reimmette sul percorso giàseguito all'andata.

Come arrivare: si parte e si arriva dalla stazione ferroviaria di Bolzano.

Ritiro dei ghiacci: c'è chi sta peggio di noi...

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In fatto di disordini climatici, ecco cosa succede nel Caucaso...
Dalla rivista del CAI "Montagne360" (febbraio 2015, pag 67); una selezione degli scatti
di "Sulle tracce dei ghiacci"è ospitata nel sito di National Geographic italiana.
E' arrivato l'ultimo numero della rivista del CAI. Un fotografo italiano si è preso la briga di rifare (un po' qua e un po' là, in giro per il mondo) le vecchie fotografie dei tempi eroici, quelle scat- tate con gli apparecchi a lastra e prima dell'avven- to del colore.
Il suo progetto fotografico "Sulle tracce dei ghiac- ciai" colpisce più di molti calcoli.
Il ghiacciaio Tvuiberi si trova nel Caucaso tra il monte Ushba e il monte Tetnuldi (Caucaso maggiore lato giorgiano) e le due foto sono state scattate a 127 anni di distanza.
Quella in bianco e nero risale al 1884 ed è stata fatta da Mor von Dechy (Royal Geographical Society britannica), invece quella a colori è del fotografo italiano Fabiano Venturi e risale al 2011.
In questo lasso di tempo il fronte si è ritirato di oltre 4 chilometri. Come si vede, al suo posto c'è oggi una fitta foresta.

Dov'è finito lo sci di fondo?

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Alla fine li ho portati in discarica. Da troppi anni se ne stavano in baracca a naso all'ingiù, completamente inutilizzati.
Ecco qui come è finito lo sci di fondo: si pestano addosso per arrivare primi.
Questo scatto arriva dalla famosa "marcialonga" di Fiemme, ormai abituata
alla neve artificiale, quella che ci costa 3 Euro al metro cubo.

I primi tracciati a pagamento sono stati quelli di Passo Lavazè.
All'epoca questa storia del biglietto aveva dato fastidio a molti, ma non a me.
Poi, col tempo ho capito che il biglietto era stato solo un'avvisaglia.
A ruota sono arrivati gli striscioni pubblicitari, le recinzioni, i consigli, le regole, le tutine di moda, i cronometri, i sensi unici, perfino le musichette.
Infine, il passo pattinato ha trasformato lo sci di fondo in competizione. E gli "sportivi" hanno cominciato a comportarsi da padroni, arrivavano da dietro urlando pistaa e facendo come se gli altri non esistessero, spintoni compresi, sempre più simili ai teppisti della curva sud.
Così, pian piano, le persone che non volevano far parte dello spettacolo, nè vivere col cronometro in mano, hanno cambiato attrezzo e sono passate alle ciaspole; se il grande business dello sport aggredisce comunità e territori, disertare è il minimo.

Al roccolo sopra Gardone (Lago di Garda)

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Un breve giro pensato per sfuggire alla neve e per guardare il Garda dall'alto (e finito col curiosare attorno al Rocol de Fraöle imprecando contro la neve imprevista).
Il roccolo si trova a 1000 metri di quota sul versante meridionale del Monte Pizzocolo, la cima più elevata e panoramica di questo settore delle Prealpi Bresciane. Di solito viene trascurato come meta a sè stante; è tuttavia un bel punto panoramico sulle acque meridionali del Garda e nelle giornate serene permette una vista completa sulla dirimpettaia catena del Monte Baldo. Da qui, in assenza di foschia e con un buon binocolo in mano, si possono "esplorare" i profili dell'Appennino Tosco-Emiliano. I roccoli erano molto diffusi prima che l'uccellagione con le reti venisse vietata, e il Rocol de Fraöle è fra i pochi sopravvissuti.
Dal roccolo il sentiero proseguirebbe puntando verso la larga insellatura del
Passo di Spino per raggiungere poi il Monte Spino (la cima innevata a sx).
Vedi altre foto in Picasa Web Album.
Le cattive notizie sull'instabilità della neve in alta quota e una certa assuefazione a prendersela comoda lasciando sempre le ciaspe a casa, ci hanno spinti molto a sud, confidando che il celebre microclima gardesano ci avrebbe permesso di salire al Monte Pizzocolo senza neve.
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
Ma già molto piùin basso del roccolo, ancor prima dilasciare la strada sterrata per il sentiero, abbiamo capito che bisognava arrivare a più miti consigli: la neve c'era, era insieme marcia e
ghiacciata, riusciva a farci scivolare e inzuppare allo stesso tempo.
Passato un baito col barbecue esterno, un ultimo breve strappo innevatoci porta all'architettura vegetale del roccolo, con al centro il piccolo edificio bianco sovrastato dalla una torretta di osservazione.
Un tempo diffusissimi, i roccoli erano delle grandi trappole dove gli uccelli finivano impigliati nelle reti disposte ad arte fra i tralci di un semicerchio di alberi opportunamente potati (e poi
in padella). In questa sorta di nasse per "pescare" uccelli anzichè pesci, oggi vietate dalla legge ma un tempo diffusissime, va cercata la base di certi piatti della tradizione come la "polenta e oséi" o gli "oséi scampài".

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 379 (parcheggio auto)
Quota massima raggiunta: m 1.044 (appena sopra il roccolo)
Dislivello assoluto: m 665
Dislivello cumulativo in salita: m 685
Dislivello cumulativo in discesa: m 685
Lunghezza con altitudini: km 8,2
Tempo totale netto: ore 3:15 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: dalla località Colomber si segue la strada sterrata è che si addentra nel bosco sul versante sinistro della Val di Sure che è marcata come sentiero CAI 8. Più in alto il tracciato CAI 8 si trasforma in sentiero che taglia i tornanti stradali e infine arriva al roccolo (m 1.003), situato appena più in basso della cima del monte Pirello (m 1.030).

Come arrivare: da Gardone si imbocca la strada che (indicazioni) transita per il Vittoriale di Gabriele d'Annunzio.Si prosegue fino alla frazione di San Michele prendendo a riferimento il ristorante Colomber. Qui è consigliabile lasciare l’automobile perché la strada segnata come sentiero CAI 8, seppur ampia e ghiaiosa, diventa sconnessa già dopo 2 chilometri (con un fuoristrada si può proseguire fino allo spiazzo di quota 1.008, quando si è ormai molto vicini al roccolo).

Un museo virtuale per Mario Rigoni Stern

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Una bussola per orientarsi fra i luoghi e i racconti del sergente nella neve.
C'è un nuovo sito, molto ben fatto, dedicato ai luoghi e agli itinerari dello scrittore
Mario Rigoni Stern, il mio preferito assieme a Primo Levi e a Nuto Revelli. L'autore
(devo dire "web designer"?) è Mario Frigo, il giornalista del Gazzettino che ha
scritto il libro “Caro Zaia, vorrei essere leghista ma proprio non ci riesco”. A pro-
posito: a quando un sio dedicato ai luoghi di Emilio Lussu?
Compilare la cronaca di una salita è una cosa, scrivere di montagna un'altra, tanto è vero che i libri di montagna si contano a migliaia ma gli scrittori di montagna si contano su una mano. Lo stesso si potrebbe dire per i siti web, specialmente quelli finanziati con soldi pubblici. Per questo le eccezioni vanno segnalate.
Il sito, finanziato con fondi pubblici una volta tanto ben spesi, colma un vuoto: quante volte abbiamo cercato di immaginarci questa o quella malga, questa o quella contrada descritta da Mario?

Sonnenberger Panoramaweg (Parcines-Naturno)

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Fra i colori dell'inverno nella bassa Venosta.
Il sentiero è sempre largo e comodo e fin troppo protetto da staccionate. Nei punti più ripidi è perfino scalinato e assistito da un corrimano (catene). Sbocca nel paese di Naturns/Naturno, il cui centro storico emerge malconcissimo dal ventennio di Durnwaldner; tra i rari edifici sopravvissuti alle ruspe e circondati dal cemento c'è la trattoria Gasthof zum Adler.

La catena Hirzer-Ifinger che chiude la conca di Merano verso oriente è innevata
solamente in quota. In primo piano la rampetta più ripida dell'intero percorso.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album.
La giornata di sole è proprio venostana, limpida, tersa e scaldata dal sole. A ricordarci che è febbraio ci sono i colori, tutti sul tono del marrone.
Il versante solatìo della valle è punteggiato di masi e attraversato da lunghi sentieri orizzontali che seguono i percorsi di collegamento di un tempo o seguono il tracciato di qualche canale d'acqua ormai non più attivo.
Quello scelto oggi sta molto in basso, appena sopra i meleti del
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
fondovalle e sotto la fascia dei masi. Congiunge Parcines a Naturno con dei modesti saliscendi che aggiungono un poco di pepe ad un tracciato panoramico e non stancante.

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 630 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 730
Dislivello assoluto: m 100
Dislivello cumulativo in salita: m 590
Dislivello cumulativo in discesa: m 570


Lunghezza con altitudini: km 16,3
Tempo totale netto: 4:00 AR
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: dal parcheggio si prende, sulla destra, il sentiero segnato che porta al vicino punto di ristoro. Qui inizia il percorso vero e proprio, che si svolge dall'inizio alla fine sempre largo e comodo. Poco prima di Naturno si incontra l'asfalto. Seguendolo "a naso" si approda nel centro paese.

Come arrivare: da Merano si prosegue lungo la statale della Val Venosta fino a Rablà. Svoltato a destra ci si dirige verso Parcines;prima ancoradi giungervi, si lascia l'auto all'ampioparcheggio della funivia Texelbahn.

Il Novecento della Val Gardena

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Il "secolo breve" in Val Gardena / 1700 scatti in b&n.
I primi passi del turismo quando ormai la civiltà contadina s'avvia al tramonto,
con il trenino della Val Gardena a fare da sfondo.

La transizione dalla civiltà contadina all'economia turistica fissata nelle fotografie in bianco e nero raccolte del benemerito Comitato per l'Educazione Permanente di Santa Cristina Val Gardena.
Sono 1700 le fotografie storiche già inserite in archivio: il lavoro nei campi, il trenino, i primi turisti, la scultura del legno, il lavoro delle donne.
Immagini senza retorica, scattate quasi per caso come semplici foto-ricordo di famigliari e amici.

Il giro largo del Guncina

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Giro andata-ritorno dalla stazione FS di Bolzano, con qualche variante rispetto alla classica Passeggiata del Guncina.
La Guntschnapromenade/Passeggiata del Guncina si snoda sopra il quartiere di Gries, è esposta al sole e rimane perfettamente percorribile anche nella stagione cattiva. Un tempo "faceva sistema" con gli hotel del turismo internazionale oggi scomparsi o decaduti, l'Hotel Germania e l'Hotel Reichgliederhof. Quest'ultimo era collegato alla città da una delle due funicolari cittadine, anch'esse scomparse. Qui un opuscolo PDF sulla passeggiata e qui l'escursione alla sua gemella, la Passeggiata di Sant'Osvaldo.
Il percorso si apre verso sud, sulla conca bolzanina. Al centro della Bassa
Atesina si distingue il dossone porfirico che separa l'Adige dal Lago di Caldaro.
Vedi altre foto in Picasa Web Album.
Quel "largo"è lì a indicare la differenza col percorso tradizionale che inizia a Gries (fino al 1925 Comune a sé stante e nota località di cura e di soggiorno dell'impero asburgico) e termina a monte della Torrre di Druso.
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
Questo giro è "allargato" nel senso che si spinge a curiosare fino all'ex-albergo Reichrieglerhof (in italiano Castel Guncina, ora trasformato in residence) e perchè per il ritorno in città segue la vecchia (e ripida) strada selciata, snobbando per una volta i tornantini inghiaiati della
Promenade vera e propria. Si parte dalla stazione ferroviariaevi si torna dopo l'ampio giro.
Il punto più alto (si fa per dire) si raggiunge a metà circa della passeggiata dove si trovava l'hotel Reichrieglerhof, un tempo hotel prestioso raggiunto da una funicolare oggi scomparsa ed oggi trasformato in un brutto residence.
Dopo la WW1 ci fu ancora qualche anno di splendore, quindi prima la Grande Guerra, poi l’avvento del fascismo fecero perdere
importanza alla stazione climatica e pure alla passeggiata, che divenne semplicemente “la passeggiata del Guncina”. Se l'Heinrichpromenade cambiò di nome, l’Hotel Germania, venne invece purtroppo demolito e sostituito da due edifici residenziali. Si trovava nel punto dove s'era interrotta la prima tranche del percorso, poi prolungato fino all’hotel Reichrieglerhof nel 1899.

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 260 (stazione FS)
Quota massima raggiunta: m 480
Dislivello assoluto: m 220
Dislivello cumulativo in salita: m 342
Dislivello cumulativo in discesa: m 363
Lunghezza con altitudini: km 9,5
Tempo totale netto: ore 2:30
Difficoltà: E

Descrizione del percorso: dalla stazione si segue l'antico percorso che attraverso il centro storico postava alla Val Sarentino. Giunti al Ponte diSant'Antonio si attraversa il Talvera e si prende subito la stradina locale che, correndo parallela alla statale, si porta a ridosso della Torre di Druso. Si imbocca sulla destra la strada per Jenesien/San Genesio ela si segue per un centinaio di metri. In corrispondenza del brutto viadotto che la sovrasta, inizia sulla sinistra la Passeggiata del Guncina. Quand'essa viene interrotta dalla nuova strada, anziche attraversare e prendere lanaturale prosecuzione sull'altro lato, si segue brevemente la stradape l'ex-albergo Reichrieglerhof che ben presto compare, con il brutto slargo asfaltato sul retro.Soddisfatta la curiosità, si proseguesu stretta stradina asfaltata che sbucain breve sull'asfalto dellanuova strada.La si segue in discesaper un centinaio di metri e la si abbandona (tabelle) verso destra, tornando ad immettersi nel percorso pedonale della Promenade. Anziche seguirlo, però, si prende in pianosulladestra giungendoin breve a unmaso dove inizia la ripida stradina che scende a Gries. Lasi segue, diventain breve pavimentata con grosse pietre e sempre più ripida tocca infine la Promenade all'altezza dell'ex albergo Germania. Proseguendo lungo la ripida pavimentazione si giunge in breve a Bolzano, nel quartiere di Gries, a breve distanza dallo sbocco della Promenade.

Come arrivare: il percorso inizia e termina alla stazione ferroviaria di Bolzano.

La "Ca' de Bezzi" di Bolzano

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Difficile da definire: antica osteria, cenacolo di intellettuali, localino alla moda o cos'altro ancora?
Ca de Bezzi di Bolzano
La Ca' de Bezzi in un bianco e nero del 1932.
In rete la definiscono "straordinaria", un'iperbole per ricordare che è la più antica (1404) osteria di Bolzano e tra le più antiche d’Europa.
In ogni caso rallegriamoci che sia sopravvissuta alle stagioni, come la Fiaschetteria Beltramme a Roma o certi vinai di Firenze, o certi posti della Milano operaia e socialista, poi digerita e sputata da Craxi&Berlusconi. 
Nacque come osteria del Deutscher Orden, ossia come luogo dove i Cavalieri Teutonici passavano il tempo libero. Più tardi, in secoli a noi più vicini, divenne cenacolo di intellettuali, artisti, politici.
Fu frequentata dal Duca della Bavaria, dal pittore austriaco Albin Egger-Lienz e da Sigmund Freud, conserva l’edificio originale su tre piani, la bellissima stube degli artisti e anche la parte della celebre raccolta di ritratti iniziata nel 1889 che non è andata persa durante la seconda guerra mondiale.
A pian terreno c'è un'aggiunta contemporanea (2012) che non mi fa impazzire, ma che accetto come "segno dei tempi".
Altro segno dei tempi: la fissa di dotarsi di una birreria "artigianale" come se "artigianale" fosse automaticamente sinonimo di alta qualità e garanzia di unicità.
Ca de Bezzi di Bolzano
I cavalieri del Deutscher Orden (Ordine Teutonico) avevano nel territorio bolzanino
un Baliato, il Deutschordensballei An der Etsch und im Gebirge, creato intorno al
1202 e che sopravvisse fino al 1805, quando venne abolito da Napoleone. A cento
passi c'è anche la chiesa di St. Georg in Weggenstein, che apparteneva all'Ordine. 
Con tutto ciò la Ca' de Bezzi rimane comunque un posto da vedere.
Anche se con qualche acciacco, questo storico locale è riuscito a sopravvivere all'ondata di cattivo gusto inaugurata dal craxismo e fatta propria, in anni più recenti, dall'affarismo sudtirolese del ventennio Durnwaldner.
Il suo nome attuale richiama l'antico, quando l'osteria era conosciuta come Batzenhäusl, nome che deriverebbe da una moneta settecentesca, il Batzen (Bezzo), che corrispondeva al prezzo di
Ca de Bezzi di Bolzano
Dopo la ristrutturazione del 2012 il piano terra della Batzenhäusl ha preso un
aspetto "bio-bau" algido e modaiolo, bandiera dell'estetica pseudo-ecologista.
Il ristorante però serve anche piatti tradizionali come il Gröstl tirolese con crauti
crudi e fa parte di una rete che unisce i più noti locali storici d'Italia.
una misura di vino.
Le atmosfere del passato sopravvivono quasi intatte ai piani superiori, per fortuna non intaccati dal recente intervento "modernizzatore" e che rimangono i più apprezzati dai visitatori.
Mi vien da dire visitatori perchè l'attuale destinazione a trattoria non deve trarre in inganno, la Ca' de Bezzi merita una visita innanzitutto per il valore storico e per i pregevoli arredi, più che per una sosta ristoratrice (anche se pure in questo non sfigura, birra "artigianale" compresa).

Le viole di San Giuseppe

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A Trento l'inizio della primavera coincide con la fiera agricola del 19 marzo, giorno di San Giuseppe.
Le violette selvatiche assomigliano alle Bergenie, anch'esse piante umili e di
poche pretese. Tra le tinte spente del sottobosco invernale il loro colore vivace
e squillante annuncia il cambio di stagione in concorrenza con le primule.
La tradizione fiera di primavera continua ancora oggi e alle ban- carelle si affianca anche la mostra dell'agricoltura, con l'esposizione di animali, trattori e macchinari per la lavorazione della campagna.
Sui monti i prati e i boschi sono an- cora marroni, le piante non hanno ancora deciso se uscire dal letargo invernale ma un anticipo di prima- vera arriva dalle colorate violette di San Giuseppe, che si fanno vive addirittura prima delle primule (e possono avere petali sia pari che dispari).
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